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CHI
SONO I PERSONAGGI CHE STANNO CONDIZIONANDO
NEGATIVAMENTE IL MONDO E LA VITA DI TUTTI
NOI? |
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KIM
JONG IL |
dittatore
della
COREA DEL NORD |
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HUGO
CHAVEZ |
presidente
del VENEZUELA |
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LUKASHENKO |
presidente
della BIELORUSSIA |
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WEN
JIABAO |
primo
ministro della CINA |
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FIDEL
CASTRO |
dittatore
di
CUBA |
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GHEDDAFI |
dittatore
della
LIBIA |
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L’EREDE
DINASTICO
Figlio del padre della patria Kim Il Sung,
“il grande leader” della Corea del Nord,
sogna di riunificare le due Coree in un
unico Paese, naturalmente in chiave
comunista. Il Politburo e la potente
macchina propagandistica del regime
alimentano il suo smisurato culto della
personalità ricalcato su quello del padre
“immortale” e lo descrivono come un leader
straordinario e di altro profilo morale. Se
sia vero o meno non importa, quello che
conta per lui non è la realtà ma la
percezione. Tende il ramoscello d’ulivo e
intanto minaccia di lanciare missili ai
cugini della Corea del Sud e del Giappone. |
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FIGLIO DI KIM IL SUNG - È nato nel febbraio
1942 in una regione all'estremo oriente
dell'Urss. Figlio del dittatore comunista
Kim Il Sung il "grande leader" della Corea
del Nord morto nel 1994.
IL FILOSOFO - Stalinista e filosofo "juche"
adora i film con Elizabeth Taylor e Sean
Connery, promette pace ma intanto prosegue
nel suo programma di armamento nucleare.
ISOLATI DAL MONDO - I nordcoreani ignorano
tutto ciò che avviene nel mondo e non sanno
nemmeno cosa è accaduto l'11 settembre 2001.
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Il tiranno rosso
ossessionato dal cinema |
Il leader
nordcoreano ha trasformato il Paese in un
gulag.
Per i suoi film di propaganda ha perfino
rapito un regista. |
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Kim Jong Il, il
"monarca rosso” della Corea del Nord, figlio
del "presidente eterno" Kim Il Sung è a capo
di un regime comunista dinastico che non ha
precedenti al mondo. Nato in una regione
all'estremo oriente dell'Unione Sovietica il
16 febbraio 1942, dove suo padre si era
rifugiato per non essere catturato dai
giapponesi, il piccolo Jong quando la
famiglia, alla fine della Seconda Guerra
mondiale, ritorna nel Nord della penisola
assiste nel 1948 all'incoronazione del padre
da parte di Stalin che designa Kim Il Sung
leader supremo e immortale della Repubblica
Popolare Democratica di Corea.
Kim Jong Il a
sette anni subisce il trauma per
l'annegamento del fratellino minore, due
anni più tardi muore la madre, ma a parte
questi due episodi luttuosi è sempre
cresciuto tra agi e lussi. In qualità di
primogenito del dittatore comunista dal
pugno di ferro le porte importanti si sono
aperte per lui fin dalla più giovane età. Il
ragazzo studia coi migliori insegnanti, si
appassiona particolarmente alla storia
patria partendo dal nome Corea che deriva da
quel "Corai" di cui parla Marco Polo nel
Milione. Il mercante veneziano non vi si
recò mai, ma il nome che ci tramanda si rifà
a "Koryo", lo Stato retto dalla dinastia
Wang che dal 918 al 1392 a.C. ha governato
il territorio coreano.
L'OCCUPAZIONE
Dopo i tragici
avvenimenti che seguirono la liberazione dal
dominio giapponese che durava dal 1910 nel
1945, la Corea viene occupata dalle truppe
sovietiche e da quelle degli Stati Uniti, le
prime stanziate a Nord del 38° parallelo le
seconde a Sud. Nel 1948 la penisola che ha
una superficie complessiva di 219.681
chilometri quadrati viene divisa in due
distinte unità politiche. Da una parte la
Repubblica popolare democratica di Corea,
DPRK, detta comunemente Corea del Nord, con
capitale Pyongyang, estesa su 120.538
chilometri quadrati, dall'altra la
Repubblica di Corea, ROK, meglio conosciuta
come Corea del Sud, che ha come capitale
Seoul.
Kim Jong Il ha
otto anni quando nel giugno 1950 scoppia la
guerra tra Nord e Sud Corea alla quale
partecipano anche Cina e Usa, il conflitto
si conclude nel '53 con un armistizio che
riconferma la divisione lungo la linea del
38° parallelo. All'ombra del grande padre
che fa suo lo slogan dell'Urss del compagno
Vladimir Ilic: "Lenin ha vissuto. Lenin è in
vita. Lenin rimarrà vivo", il giovane Jong
frequenta il Politburo da dove si guarda al
futuro della piccola penisola considerata
come un'emanazione dell'Unione Sovietica.
IL SUCCESSORE
A trent'otto
anni il padre lo nomina suo successore e Kim
Jong inizia a coltivare un pensiero
raffinato, partendo dalla considerazione che
i coreani del Nord preferiscono chiamare il
loro Paese col vecchio nome di Choson
("calmo mattino") mentre i coreani del Sud
usano il termine "Han'guk" ("Paese han") e
tutti i coreani nel nominare la patria
ricorrono però all'espressione "uri nara",
ossia "il mio (nostro) Paese", vorrebbe
tentare una riunificazione, naturalmente in
chiave comunista. Nel frattempo gli apparati
di governo hanno costruito attorno a lui,
definito il "Caro leader", un culto della
personalità ricalcato sull'esempio del
"Grande leader". Già dopo la laurea nel
1964, il giovane rampollo si era assunto il
ruolo di zar culturale del Partito dei
lavoratori, con particolare attenzione per
la produzione editoriale e cinematografica,
una vera ossessione quella per i film che ha
provocato il rapimento, nel 1978,
dell'attrice sudcoreana Choi En-hui e del
marito, il regista Shing Sangok, considerato
l'Orson Welles della Corea del Sud, dopo
quattro anni di prigionia in un "campo di
rieducazione" En-Hui cede e accetta di
girare il film "Pulgasari" che racconta la
storia di un piccolo grano di riso che
cresce e si sviluppa in maniera incredibile,
fino a trasformarsi in un gigantesco mostro,
una sorta di Godzilla comunista, che lotta
al fianco dei contadini oppressi.
Nel '91 Kim Jong
Il è nominato comandante dell'esercito
nordcoreano, è l'ultimo passo di un lungo
processo di attribuzione di poteri e
l'inizio di una serie di leggende che
circondano la sua immagine. Quando il padre
"immortale" nel 1994 muore improvvisamente
d'infarto, molti predicono un rapido crollo
della Corea del Nord, le potenti alleanze si
sono dissolte con la caduta del blocco
sovietico e lo spostamento della Cina verso
un sistema di mercato; inoltre una serie di
alluvioni ha ridotto alla carestia il Paese,
un pessimo momento per sostituire l'unico
leader che la Corea del Nord avesse mai
conosciuto.
I FUNERALI
Dopo gli
elaborati funerali del "Grande leader", Jong
Il sparisce per alcuni anni, il che da adito
a molte voci, poi ricompare improvvisamente
l'8 ottobre 1997 per proporre una nuova
struttura di governo da lui progettata,
viene nominato nuovo segretario del PLC
(Partito comunista dei lavoratori) e
Presidente della Commissione di difesa
nazionale. Un governo singolare modellato su
un particolare stalinismo intriso della
filosofia "juche" (termine traducibile in
"autosufficienza").
Il suo livello
di venerazione aumenta, molti lo ritengono
non solo un leader di grande livello, ma un
uomo di alto profilo morale.
Se sia vero o
meno non importa, per la potente macchina
propagandistica che lo segue ovunque se si
vuole avere a che fare con lui e con la
Corea del Nord, bisogna capirne il sistema
mentale: la percezione è la realtà.
I media
nordcoreani presentano il "Caro leader" come
un uomo straordinario dai mille interessi e
lo paragonano addirittura a Leonardo da
Vinci, enfatizzano il fatto che ha avuto tre
bellissime mogli, di cui una russa, ma
dimenticano che l'ultima, un'ex attrice, è
fuggita all'estero dopo avergli dato un
figlio, Kim Nam Jong, che venne designato
come erede ma che a vent'anni era già
alcolizzato. Nessuno sa che fine abbia
fatto.
La politica
militante di Kim Jong si basa sui continui
ricatti del dittatore che dispone di un
arsenale atomico terrificante col quale
minaccia il mondo. Il fatto è che il
ricattatore è pazzo davvero. Da almeno dieci
anni lancia missili balistici e Scud che
sorvolano agevolmente IL Giappone e la Corea
del Sud. Ha allungato il ramoscello d'ulivo
a Seoul, ma lo scorso marzo ha
improvvisamente lanciato nuovi missili
balistici che dalla costa occidentale sono
finiti volutamente in mare per dimostrare
con quanta facilità può colpire la Corea del
Sud ed il Giappone.
MEDIAZIONE CINESE
Pessimi segnali
che la diplomazia americana ha definito «non
costruttivi». Il basso profilo del
Dipartimento di Stato si spiega con
l'accordo che il "monarca rosso" aveva preso
di interrompere l'escalation nucleare in
cambio di generosi aiuti economici da parte
di Stati Uniti e Corea del Sud. Il mediatore
decisivo per quell'intesa fu la Cina, ci
potrebbe essere un nesso tra i missili
nordcoreani e le accuse occidentali alla
Cina sul Tibet. Un promemoria per
Washington: i buoni uffici della diplomazia
cinese non sono gratuiti.
Il "Caro leader"
coltiva con assiduità l'arte della menzogna
con la stessa passione che ha per i film
interpretati da Elizabeth Taylor e da Sean
Connery-007, continua a vendere tecnologie
militari alla Siria, all'Iran, ai gruppi
terroristici. Domina un Paese che è un
immenso Gulag, la sua gente non sa nulla di
ciò che avviene nel mondo (ignora persino
l'11 settembre) eppure per i nordcoreani il
"monarca rosso" resta l'uomo della salvezza.
(Guglielmo Sasinini) |
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IL COLONNELLO
ROSSO
II presidente del Venezuela Hugo Chavez
parla ai suoi sostenitori del Partito
Socialista Unito. Politico
populista e con tendenze dittatoriali, Chavez ha sviluppato una dottrina
nazionalista di sinistra ribattezzata "Bolivariana",
in quanto è ispirata dalla filosofia
Panamericanista del rivoluzionario
venezuelano dell'800 Simón Bolivar. Inoltre
il programma del presidente venezuelano,
spesso in contrasto con i ceti produttivi
del Paese, è fortemente influenzato dal
pensiero comunista. Non è un caso se il
"caudillo" sudamericano abbia tentato di
creare una coalizione anti-statunitense
insieme a Cuba, il Brasile, la Bolivia e
l'Argentina. |
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IL PRESIDENTE - Hugo Rafael Chavez Frias
(nato a Sabaneta il 28 luglio1954) è
l'attuale presidente del Venezuela.
GOLPISTA - Promosso al grado di colonnello
dei paracadutisti, Chavez ha fondato il
Movimento "Quinta Repubblica" dopo aver
organizzato, nel 1992, un fallito colpo di
Stato contro l'allora presidente Carlos
Andres Perez.
PER I POVERI - Chavez è stato eletto
presidente nel 1998 grazie alle sue promesse
di aiuto per la maggioranza povera della
popolazione del Venezuela ed è stato
rieletto nel 2000 e nel 2006.
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Il caudillo
socialista affascinato dagli stregoni. |
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Castro, Bolivar
e riti voodoo, le armi segrete
del presidente venezuelano all'attacco di
Bush e Israele |
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Lo definiscono
l'ultimo comunista, nuovo "caudillo" del
Venezuela, l'interprete di Castro-Che
Guevara-Simon Bolivar. In realtà l'ex
colonnello dei parà Hugo Rafael Chavez Frias
in fatto di ideologia è piuttosto confuso.
Nato a Sabaneta, nello stato di Barinas il
28 luglio 1954, suo padre Hugo del los Reyes
Chavez era un maestro rurale che a causa
delle ristrettezze economiche per mantenere
la numerosa famiglia fu costretto ad
affidare due figli, il piccolo Hugo e il
fratello maggiore Adan, alla nonna patema
Rosa Ines, che viveva in una piccola casetta
da indio fatta di paglia e fango secco.
A diciassette
anni Hugo Chavez si arruola nell'Accademia
militare. Il ragazzo si fa strada a testa
bassa, si laurea in Scienza e arti militari
e conquista i gradi di ufficiale, in seguito
tenta di laurearsi anche in Scienze
politiche all'università Simon Bolivar di
Caracas ma dopo due anni interrompe gli
studi: i suoi pensieri sono altrove.
BASEBALL E CULTURA
Con un gruppo di
colleghi ufficiali ha infatti sviluppato una
dottrina nazionalista di sinistra che
chiamano "Bolivariana" ispirata al
panamericanismo del rivoluzionario
venezuelano dell'800 Simon Bolivar. Chavez
diviene un leader, ma trova anche il tempo
per dedicarsi ad attività culturali, per
giocare a baseball e softball, arrivando
fino ai campionati nazionali; scrive poesie,
racconti e opere teatrali.
Il colonnello è
affascinato dal pensiero bolivariano che fa
perno sul concetto di integrazione e
costruzione della sognata e mai realizzata
"Gran Colombia" (Venezuela, Colombia,
Ecuador, Perù e Bolivia). L'indio di indole
ribelle si mette spesso nei guai con le
gerarchie perché non condivide le azioni di
repressione dell'esercito. Organizza
riunioni segrete col suo gruppo di para
affascinati dall'ideologia bolivariana. Nel
1983 crea il "Movimento bolivariano MBR-200"
che riunisce soprattutto appartenenti alle
forze armate venezuelane e nel 1991, quando
Chavez viene promosso colonnello, iniziano i
primi tintinnar di sciabole.
L'anno seguente,
il 4 marzo del '92, Chavez guida un colpo di
Stato delle forze militari che tentano di
rovesciare il presidente Carlos Andres Perez.
Il golpe fallisce e il colonnello viene
imprigionato nel carcere di Yare in Valles
del Tuy. Ma la sua detenzione dà vita a un
grande movimento popolare che organizza
centinaia di manifestazioni per reclamare la
liberazione del nuovo "libertador"
populista. Il governo di Caracas si
preoccupa e nel '94, ricorrendo ad
un'amnistia, lo rimette in libertà
costringendolo ad abbandonare le forze
armate.
Non è un
problema per Hugo Chavez che i suoi
continuano a chiamare "comandante". Lui nel
frattempo ha messo a punto la sua
traiettoria politica: fonda il movimento
"Quinta Repubblica", promuove la visione del
socialismo democratico, dell'integrazione
dell'America Latina e dell'anti-imperialismo,
è un fervente critico della globalizzazione
neoliberista e della politica estera
statunitense. Quando il nuovo "caudillo"
parla le piazze venezuelane sono gremite,
lui usa il linguaggio del popolo, ostenta le
sue umili origini ed enfatizza il fatto che
sia un meticcio.
Nel '98 si
presenta come candidato alle elezioni
presidenziali, stravince grazie alle sue
promesse di aiuto per la maggioranza povera
della popolazione del Venezuela, conquista
ufficialmente l'appellativo di "libertador"
(che fine a quel momento era stato riservato
solo a Simon Bolivar). Viene rieletto
presidente del Venezuelanel 2000 e nel 2006
grazie alle "Missioni bolivariane", i cui
obiettivi sono quelli di combattere le
malattie, l'analfabetismo, la malnutrizione,
la povertà, la corruzione e tutti gli altri
mali sociali. In politica estera si muove
contro il Washington Consensus sostenendo i
modelli di sviluppo economico alternativi,
chiedendo la cooperazione dei Paesi più
poveri del mondo, specialmente di quelli
sudamericani.
Chavez si è
sposato due volte, attualmente vive separato
dalla seconda moglie, Marisabel Rodriguez de
Chavez, ha quattro figli, Rosa Virginia,
Maria Gabriela, Hugo Rafael e Rosinas. Nei
momenti difficili si isola dalla famiglia e
scava nel suo inseparabile "bagaglio" che
contiene un basco da para, un crocifisso e
la Bibbia, un piccolo libro blu che contiene
la Costituzione del Venezuela e infine una
biografia di Simon Bolivar.
L'inquilino di
Palazzo Miraflores a parte il "suo"
cristianesimo, pratica altre pseudo
"religioni" tradizionali, si dice che sia
legato ai "babalaos" santoni-stregoni che
fanno "consulenze" anche a Fidel Castro. Da
quando si sono stabiliti in Venezuela certi
cubani i riti di "santeria" (sorta di
sincretismo tra religione cattolica e riti
di magia nera indiana e africana) vengono
praticati anche all'interno delle caserme
dove i "santeros" sono temutissimi.
Dopo le vittorie
chaviste per i governatori degli Stati
nell'ottobre 2004, nelle amministrative del
2005 e nelle elezioni per l'Assemblea
Nazionale, Hugo Chavez nel maggio 2006
compie una serie di visite ufficiali in
Europa, Italia compresa, incontra Papa
Bendetto XVI° e il neoeletto presidente
della Camera Fausto Bertinotti, parla al
convegno della Fao a Roma. In settembre
intervenendo all'Assemblea delle Nazioni
Unite, definisce il presidente Bush «il
diavolo in persona» e appena lo vede entrare
si fa il segno della croce. Il 3 dicembre
2006 si svolgono le elezioni presidenziali,
Chavez con il 62,87% dei voti risulta il più
votato presidente del Venezuela dal '58, il
suo programma denominato "Socialismo del XX°
secolo" lo porta sugli altari.
LÌDER MAXIMO
Lui è raggiante
e in qualità di lider maximo della "revolucion
bolivariana" frequenta pessime compagnie:
Gheddafi, Ahmadinejad, Bashar Assad, Hassan
Nasrallah, Kim Jong II, Alexander Lukashenko.
Si guadagna le simpatie del mondo arabo e di
quello palestinese con le dichiarazioni: «I
veri terroristi sono gli israeliani. Il
popolo che ha ucciso Gesù ora controlla
l'economia mondiale» e: «George Bush
andrebbe processato davanti a un tribunale
internazionale per genocidio in Iraq. Gli
Stati Uniti rappresentano un pericolo per
tutti, soprattutto per i nostri figli.
L'impero nord-americano è il più crudele,
assassino e selvaggio del mondo. Rappresenta
una minaccia per la Terra». Il compagno
Chavez propone a tutti gli antiamericani
alleanze contro l'imperialismo, promette
aiuti economici e soprattutto tanto
petrolio.
Lo scorso
dicembre Hugo Chavez dopo che i "no" hanno
vinto con il 51,5% mentre il suo fronte del
"si" non è riuscito a superare il 49,20% ha
reagito alla sconfitta al referendum sulle
riforme costituzionali da lui stesso
proposto con la rabbia del meticcio
predicatore: «Una vittoria di merda», l'ha
definita l'inquilino di Palazzo Miraflores
il cui mandato scadrà nel 2013, «presto ci
riproveremo e le cose cambieranno anche per
i tanti traditori della patria. Questa è una
promessa». Ma tutto dipenderà da quello che
i suoi "santeros" gli consiglieranno dopo
aver sgozzato alcuni galli in una notte di
luna piena.
(Guglielmo Sasinini) |
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DIFENSORE DELLE
TOP MODEL
Alyaksandr Lukashenko (nella foto) ha
definito le bielorusse protagoniste delle
passerelle e delle riviste di moda «risorsa
strategica nazionale». E così, con un
decreto, ha posto limiti e paletti al loro
espatrio. Come tali, infatti, le top model
bielorusse sono sottoposte a «tutela
commerciale particolare». Il padre-padrone
di Minsk ha introdotto tasse, dazi,
autorizzazioni impossibili per le agenzie
straniere. Necessario inoltre un permesso
scritto del governo. Da Maria Didarova
(Supermodel of the Worid nel 2005) a Marina
Prudnikova (Miss Metropolitan), da tempo le
bielorusse rubano cuore e portafogli agli
uomini più ricchi del pianeta. |
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ORIGINI CONTADINE
Nato il 30 agosto del 1954 a Vitsyebesk da
famiglia contadina, Alyaksandr Lukashenko è
Presidente della Bielorussia dal 1994.
MILITARE
Laureato in Economia nel 1974, ha servito
l'esercito sovietico negli anni 1975-77 e
1980-82. Nel 1985 è eletto direttore della "sovhoz",
la grande "fattoria" dello Stato.
STATALISTA
Nel 1990 è eletto deputato del Soviet
Bielorusso. Come Presidente ha portato
avanti una serie di misure anti-corruzione e
ha mantenuto l'apparato statalista dell'ex
Urss. |
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Harem e fisarmonica.
Ecco l'ultimo stalinista |
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Per il
presidente bielorusso il comunismo è ancora
attuale.
Lo odiavano tutti, è diventato un tiranno. |
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È istrionico,
nostalgico, populista, rimpiange l'Unione
Sovietica e i tempi di Lenin suonando una
fisarmonica che lo accompagna mentre canta
malinconicamente una vecchia canzone.
Alyaksandr
Lukashenko è nato il 30 agosto del 1954 a
Vitsyebesk, nella Bielorussia orientale, da
una famiglia di origini contadine, orfano di
padre, ma in effetti l'identità paterna non
è mai stata rivelata, il patronimico
Ryhoravich indica solamente che il genitore
si chiamava Grigory e anche i dettagli sulla
madre, Katsyaryna Trafimauna Lukashenka,
sono molti scarsi. Sasha il ragazzo
destinato a diventare il primo presidente
della Bielorussia, non ha mai accennato ad
alcun amico o parente d'infanzia, in rare
occasioni confessa di essere cresciuto "tra
animali e piante" e di aver aiutato la madre
contadina a mungere le vacche.
Profondamente
antipatico ai suoi coetanei che lo
tormentavano e lo deridevano con appellativi
duri e offensivi, Lukashenko cresce in
solitudine e si impegna a vendicarsi non
appena se ne presenterà l'occasione. Sogna
di diventare un guidatore di trattori,
successivamente indirizza i suoi studi verso
la musica, quando la madre riesce a
comprargli una fisarmonica usata, poi si
diploma in pedagogia, ha un ottimo profitto
e lo Stato gli paga l'università, si laurea
due volte, in Storia nel 75 e in Economia
nell'85, anno in cui si sposa con una
compagna di scuola, Halina Zhaunerovich,
dalla quale ha due figli, Victor e Dmitry.
IL DIRIGENTE
Ma Sasha non è
un uomo da famiglia: ben presto relega la
moglie in una solitaria casetta del
villaggio d'origine e convive con numerose
amanti. Conosce bene gli apparati militari
per i suoi trascorsi nell'Armata Rossa,
prima come guardia di confine, poi nel Kgb
dal quale si congeda nell'82, quando assume
la dirigenza di un'industria agraria. Ma il
suo sogno è la politica. Nel '90 viene
eletto al Soviet Supremo della Bielorussia.
L'organismo sta per essere disarticolato,
tuttavia Lukashenko muove i primi passi
verso la leadership del Paese fondando una
corrente del Soviet chiamata "Comunisti per
la democrazia" il cui obiettivo è la
modernizzazione democratica dell'intera
Unione Sovietica ma nel rispetto
dell'ideologia dogmatica marxista.
Un progetto che
contrasta con la nascita dalle ceneri dell'Urss
della Comunità degli Stati Indipendenti, ma
ancora oggi il presidente bielorusso ricorda
di essere stato l'unico a Minsk che si è
opposto alla nascita della Csi. Tra il '90 e
il '91 inizia a costruirsi un'immagine
positiva e la reputazione di capace oratore,
due eccezioni nel panorama politico dell'ex
Urss ormai sfibrata e priva di progetti.
Lukashenko abilmente si svincola dal declino
dell'impero sovietico, propone un severo
programma anti-corruzione e nel '93 viene
eletto al Parlamento di Minsk.
Il suo primo
atto politico è l'accusa di appropriazione
indebita di fondi statali che rivolge a 70
parlamentari. Ma la sua posizione inizia ad
essere ambigua, da una parte concentra gli
attacchi verso la nomenklatura ex sovietica,
dall'altra non rinuncia allo stretto legame
con il Partito comunista bielorusso e a
quello ancora più vincolante con il Cremlino
e coi servizi segreti russi.
Il 1994 è l'anno
della svolta. Grazie ad una riforma
costituzionale che prevede l'elezione
diretta del presidente della Repubblica,
Lukashenko si candida alla guida della
Bielorussia. Viene eletto al secondo turno
con oltre l'80% dei voti.L'Ue inizia a
temere la nascita dell'ultima dittatura
d'Europa, ma lui viene acclamato dai suoi
sostenitori come bat'ka ("padre"). Il nuovo
presidente è giovane, non ha esperienza
politica, ma promette di governare il Paese
con trasparenza, avviando un'opera di
pulizia dei funzionali statali corrotti, di
lotta a tutti gli abusi e promuovendo la
stretta collaborazione tra Minsk e Mosca.
Promesse che
piacciano molto ai nostalgici e ai
bielorussi vittime della dissoluzione
dell'economia sovietica che ha provocato il
crollo del 50% dell'occupazione. Lukashenko
alza i salari minimi, immette valuta sul
mercato ma la conseguenza è un'impennata
dell'inflazione che costringe il governo di
Minsk a ripristinare il controllo dei
prezzi, secondo il metodo sovietico.
Le mosse
economiche di "Bat'ka" producono interventi
sanzionatori da parte della Banca mondiale e
del Fondo monetario internazionale che
sospendono gli aiuti finanziari promessi con
l'indipendenza del Paese. Ma l'allora
premier russo, Viktor Chernomyrdin scende in
campo in prima persona per difenderlo e
tutti tacciono. Rincuorato il leader
bielorusso punta ad una modifica
costituzionale per il rafforzamento dei
poteri del Capo dello Stato. La riforma
ottiene il sostegno dell'84% dei voti
referendari e porta all'immediata chiusura
della Camera dei deputati e all'elezione di
una nuova Assemblea i cui membri sono tutti
favorevoli a Lukashenko.
Una politica
esplicitamente autoritaria che ha come
"spalla" la Russia. Tra Boris Yeltsin e poi
Vladimir Putin e Minsk vige un patto di
ferro e nel 2001 quando si conclude il
mandato presidenziale Lukashenko ottiene
facilmente la riconferma fino al 2006. Alla
scadenza il "padre del popolo" ricorrendo ad
un'ulteriore riforma costituzionale abroga i
limiti di eleggibilità (non più di due
mandati consecutivi) e il 19 marzo 2006
strappa con un risultato plebiscitario
(84,2%) il suo terzo mandato, praticamente
illimitato. Lukashenko si insedia con tutti
gli onori come Presidente della Repubblica
Bielorussa.
IL REPRESSORE
L'arresto
illegale dei dissidenti, la mancanza di
opposizione, di libertà di critica e di
stampa, e i rapporti che il premier ha
mantenuto prima con l'Iraq di Saddam Hussein,
e attualmente con l'Iran, col quale
collabora attivamente nella corsa al
nucleare, con la Siria, la Cina, la Corea
del Nord, preoccupano molto gli Usa e l'Ue
che si trova come vicino di casa un piccolo
Stalin. Mentre per la sicurezza e la difesa
i rapporti con la Russia sono ottimi, il gas
e petrolio sono causa di forti tensioni.
La Bielorussia
ha dovuto accettare un prezzo più che doppio
per il gas russo al fine di evitare il
blocco dei suoi gasdotti; Mosca ha poi
accusato Minsk di operare prelievi illegali
dai suoi oleodotti il che ha provocato una
crisi che ha portato un'interruzione delle
forniture a Germania, Polonia e altri stati
dell'Europa centro-orientale. Il conflitto
energetico è proseguito con l'aumento della
tassa che il petrolio russo paga per
transitare sul territorio bielorusso.
Per tacitare i
malumori di Lukashenko Mosca fornisce a
Minsk nuovi sistemi missilistici anti-aerei
S-300 e SA-10 schierati nei pressi di Brest
e di Grodno. Ma la carta che il dittatore si
tiene di riserva è l'armamento nucleare di
cui dispone in gran quantità.
La Bielorussia
fin dai tempi della Guerra Fredda ha
costituito l'avamposto più a Ovest di tutta
l'Unione Sovietica che ha sempre ospitato le
maggiori basi missilistiche dell'Urss. Per
gli Stati Uniti e l'Ue la Bielorussia è un
paese a rischio e un alleato del terrorismo
internazionale che vende armi e tecnologie
militari ad organizzazioni terroristiche,
anche di matrice islamica.
Ma l'ultimo
dittatore d'Europa che rimpiange Berija e
Stalin conosce la grande sete energetica
dell'Unione e recita la parte del duro su
incarico di Putin e di Medvedev.
(Guglielmo Sasinini) |
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IN NOME DEL
PROFITTO
Wen Jiabao è
i! volto tipico del potere cinese.
Spregiudicato e affarista, cerca di dare
all'estero l'immagine del politico
pragmatico, lontano dagli estremismi
ideologici della vecchiaguardia maoista. In
realtà il premier del Consiglio di Stato di
Pechino, dalla strage di Tiananmen ad oggi,
unisce al piglio tecnocratico una buone dose
di cinismo e di capacità di gestione del
sistema repressivo comunista. Fra Laogai,
campi di rieducazione e arresti
indiscriminati di dissidenti e oppositori
politici, il Colosso asiatico è in cima alle
classifiche mondiali degli Stati che violano
sistematicamente i diritti umani. E Jiabao è
a capo del potente apparato poliziesco
cinese |
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INGEGNERE
Wen Jiabao è nato il 15 settembre 1942 a
Tianjin, città costiera del nord della Cina.
Si è iscritto al partito comunista nel 1965,
in piena rivoluzione culturale. È laureato
in ingegneria.
GERARCA
È il Primo Ministro del Consiglio di Stato
della Repubblica Popolare Cinese dal 2003.
IL MASSACRO
Il 19 maggio 1989 in Piazza Tiananmen diede
l'ordine di fermare la protesta degli
studenti che chiedevano riforme e
democrazia. La repressione della
manifesta-zione provocò, secondo la Croce
Rossa, 2.600 morti. |
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Il macellaio di
Tiananmen in doppiopetto |
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Ai vertici del
regime dal 1989, è la mente del capitalismo
selvaggio e del sistema repressivo cinese |
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È Per la maggior
parte delle persone l'immagine della Cina
scolpita nella memoria è quella di piazza
Tiananmen, del ragazzo che da solo blocca
una colonna di carri armati. Le imponenti
manifestazioni studentesche della primavera
dell'89 in quella piazza politicamente sacra
del centro di Pechino, paralizzarono per
settimane il governo cinese e attirare -no
l'attenzione del mondo, i media per-la prima
volta inviarono notizie e immagini in
diretta dall'altra parte della Muraglia. Il
4 giugno '89 si scatenò la repressione
militare, solo nei dintorni di piazza
Tiananmen vi furono dai 300 ai 500 morti,
complessivamente furono uccise dalle 2000
alle 3000 persone.
OLTRE IL MAOISMO
Chi si illuse
che anche a Pechino potesse iniziare quella
trasformazione democratica che era in atto
in Unione Sovietica e nell'Europa orientale,
chi sperò che grazie ai ragazzi cinesi che
scandivano lo slogan chiave: minzhu
(democrazia) nascesse un processo di
scardinamento del maoismo ancora imperante
nella Repubblica popolare cinese, rimase
annichilito da tanta violenza. Quel giorno
di giugno accanto all'allora leader del
partito comunista Zhao Ziyang, c'era un
gelido personaggio che con un megafono in
mano intimò ai manifestanti di cessare
immediatamente l'occupazione della piazza
per evitare un massacro, quindi con un gesto
della mano scatenò i militari: era Wen
Jiabao, potentissimo primo ministro del
Consiglio di Stato e membro del Comitato
permanente del Politburo del partito
comunista cinese.
Ancora oggi Wen
Jiabao è l'uomo forte della Cina, un
intramontabile mandarino, l'essenza del
potere cinese, cambiano i presidenti ma lui
resta, l'eterno premier più volte rieletto
che nessuno all'interno del Politburo osa
criticare, a meno che non voglia finire in
un manicomio o in un campo di rieducazione.
Nato nel
settembre 1942 nel comune di Tianjin, Wen
Jiabao nell'aprile del 1965 entra nel
Comitato centrale, si diploma a Pechino
all'istituto di geologia, si specializza in
geopolitica e si laurea in ingegneria. La
sua formazione è improntata al credo del
grande timoniere, Mao Zedong, al socialismo
nel quale il partito comunista ha
un'assoluta preminenza: è lui la vestale
dell'ortodossia cinese, al quale il
presidente Hu Jintao, come i suoi
predecessori, ha delegato tutti i poteri.
Wen Jiabao ha fatto inserire nella
Costituzione il principio dell'economia
socialista di mercato introducendo il
diritto alla proprietà privata, lo stato di
diritto, il rispetto e la difesa dei diritti
umani, il superamento del principio della
pianificazione socialista. Il partito
comunista cinese alle dirette dipendenze del
premier auspica che la Cina diventi una
grande potenza rispettata e temuta. Il
premier ha guidato il boom economico degli
ultimi vent'anni basandosi su quella che il
professor Qin Hui della Tsinghua University
di Pechino ha definito il «vantaggio della
scarsa attenzione ai diritti umani, dei
lavoratori, dei consumatori». Attraendo i
capitali dall'Occidente il "grande
manovratore" tenta di far dimenticare che la
Cina è il mondo della corruzione,
dell'inquinamento, dei lavoratori schiavi,
dei bambini rapiti e abusati, delle merci
contraffatte che finiscono sul mercato
internazionale, delle violazioni
sistematiche dei diritti umani, dei
dissidenti che vengono prelevati nottetempo
dalla polizia e spariscono nel nulla.
Il peggior
incubo di Wen Jiabao è che in occasione
delle Olimpiadi si possa nuovamente
verificare ciò che accadde in piazza
Tiananmen. Nella primavera dell'89 le
autorità cinesi avevano infatti invitato per
la prima volta i media internazionali a
Pechino per seguire la storica visita del
segretario generale del Pois, Michail
Gorbacev, fissata per il 15 maggio, che
segnava un riavvicinamento di enorme
importanza tra i due paesi protagonisti del
movimento socialista mondiale. Deng Xiaoping
e Wen Jiabao volevano mostrare a Mosca il
volto della nuova Cina e per questo avevano
invitato a Pechino i network televisivi. Poi
fecero irruzione su quella scena allestita
con cura le manifestazioni studentesche che
distrussero l'effetto diplomatico e
mostrarono al mondo un volto della Cina che
non era certamente quello disegnato per
l'occasione da Wen Jiabao.
A partire da Den
Xiaoping tutti i leader cinesi continuano a
condannare le dimostrazioni di piazza
Tiananmen e dintorni come «disordini
controrivoluzionari».
Per l'eterno
premier la risposta è sempre la stessa:
«Portammo l'ordine in un momento in cui dei
teppisti di strada stavano terrorizzando
Pechino». Il milione e passa di giovani che
parteciparono alle manifestazioni dell'89 la
pensano diversamente. Wen Jiabao è prudente,
si mostra in pubblico in rarissime
occasioni, ciò che avviene nel suo
sterminato paese glielo comunica ogni giorno
il capo della polizia segreta. È
l'architetto delle riforme che stanno
definendo la Cina di oggi, ma quando e dove
sono iniziate queste riforme? Quali sono i
loro obiettivi? Le riforme del dopo Mao,
generalmente fatte risalire ai tardi anni
Settanta, per molti aspetti sono una
continuazione di quelle avviate dal regime
maoista e di quelle tuttora proposte che
prevedono aperture e riforme economiche ma
senza liberalizzazione politica, democrazia,
possibilità di dibattito intellettuale,
libertà di espressione.
Per Wen Jiabao l'il settembre 2001 non è
stata una data critica, la Cina ha margini
più ampi rispetto ad altri Stati, il suo
peso economico le consente di entrare e
uscire dalla coalizione antiterrorismo senza
incorrere in gravi sanzioni. Non a caso le
banche cinesi finanziano una percentuale
cospicua e crescente del debito nazionale
statunitense. Wen Jiabao persegue gli
interessi nazionali operando soprattutto
attraverso il sistema internazionale,
evitando contrasti aspri e affidandosi alla
diplomazia, sia a quella ufficiale sia a
quella occulta. Adesso sta anche tentando di
ridurre il divario con l'arsenale militare
americano. Secondo gli analisti, entro il
2010 la Cina avrà una ragguardevole flotta e
un armamento nucleare di grande potenza, in
questo Pechino va d'accordo con Teheran e
Pyongyang.
BUGIE E MUSCOLI
Per il premier
il dispositivo militare servirà a difendere
i canali energetici e commerciali, ma
potrebbe anche riaccendere le ostilità con
Taiwan, il che metterebbe la flotta cinese
in collisione con le forze statunitensi
presenti in Asia orientale. La possibilità
di una guerra nello stretto di Taiwan è
reale. Pechino racconta bugie e mostra i
muscoli perché sa che se dovesse crollare la
Cina sarebbe una catastrofe che
trascinerebbe tutta l'Asia, e via via i
sistemi economici, sociali e ambientali del
Medio Oriente, dell'Africa, dell'Europa,
delle Americhe. Negli ultimi anni Wen Jiabao
ha svolto un ruolo chiave per rimpinguare le
casse del partito, per risanare il sistema
bancario, avviare un forte dialogo con la
comunità economica internazionale, adesso ha
bisogno degli effetti speciali. Il
maquillage ideale per il grande manovratore
sono le Olimpiadi, ma non può permettersi
che anche questa volta gli studenti, i
contadini e tutti coloro che ormai non
credono più alle promesse di riforme mai
attuate gli rovinino la festa.
(Guglielmo Sasinini) |
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