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CHI SONO I PERSONAGGI CHE STANNO CONDIZIONANDO NEGATIVAMENTE IL MONDO E LA VITA DI TUTTI NOI?

 

KIM JONG IL

dittatore della

COREA DEL NORD

HUGO CHAVEZ

presidente del VENEZUELA

LUKASHENKO
presidente della BIELORUSSIA

WEN JIABAO
primo ministro della CINA

FIDEL CASTRO

dittatore di

CUBA

GHEDDAFI

dittatore della

LIBIA

 


 

Kim Jong Il

 

L’EREDE DINASTICO
Figlio del padre della patria Kim Il Sung, “il grande leader” della Corea del Nord, sogna di riunificare le due Coree in un unico Paese, naturalmente in chiave comunista. Il Politburo e la potente macchina propagandistica del regime alimentano il suo smisurato culto della personalità ricalcato su quello del padre “immortale” e lo descrivono come un leader straordinario e di altro profilo morale. Se sia vero o meno non importa, quello che conta per lui non è la realtà ma la percezione. Tende il ramoscello d’ulivo e intanto minaccia di lanciare missili ai cugini della Corea del Sud e del Giappone.

 

 

CHI E’

FIGLIO DI KIM IL SUNG - È nato nel febbraio 1942 in una regione all'estremo oriente dell'Urss. Figlio del dittatore comunista Kim Il Sung il "grande leader" della Corea del Nord morto nel 1994.

IL FILOSOFO - Stalinista e filosofo "juche" adora i film con Elizabeth Taylor e Sean Connery, promette pace ma intanto prosegue nel suo programma di armamento nucleare.

ISOLATI DAL MONDO - I nordcoreani ignorano tutto ciò che avviene nel mondo e non sanno nemmeno cosa è accaduto l'11 settembre 2001.

 

Il tiranno rosso ossessionato dal cinema

Il leader nordcoreano ha trasformato il Paese in un gulag.
Per i suoi film di propaganda ha perfino rapito un regista.

 

Kim Jong Il, il "monarca rosso” della Corea del Nord, figlio del "presidente eterno" Kim Il Sung è a capo di un regime comunista dinastico che non ha precedenti al mondo. Nato in una regione all'estremo oriente dell'Unione Sovietica il 16 febbraio 1942, dove suo padre si era rifugiato per non essere catturato dai giapponesi, il piccolo Jong quando la famiglia, alla fine della Seconda Guerra mondiale, ritorna nel Nord della penisola assiste nel 1948 all'incoronazione del padre da parte di Stalin che designa Kim Il Sung leader supremo e immortale della Repubblica Popolare Democratica di Corea.

Kim Jong Il a sette anni subisce il trauma per l'annegamento del fratellino minore, due anni più tardi muore la madre, ma a parte questi due episodi luttuosi è sempre cresciuto tra agi e lussi. In qualità di primogenito del dittatore comunista dal pugno di ferro le porte importanti si sono aperte per lui fin dalla più giovane età. Il ragazzo studia coi migliori insegnanti, si appassiona particolarmente alla storia patria partendo dal nome Corea che deriva da quel "Corai" di cui parla Marco Polo nel Milione. Il mercante veneziano non vi si recò mai, ma il nome che ci tramanda si rifà a "Koryo", lo Stato retto dalla dinastia Wang che dal 918 al 1392 a.C. ha governato il territorio coreano.

L'OCCUPAZIONE

Dopo i tragici avvenimenti che seguirono la liberazione dal dominio giapponese che durava dal 1910 nel 1945, la Corea viene occupata dalle truppe sovietiche e da quelle degli Stati Uniti, le prime stanziate a Nord del 38° parallelo le seconde a Sud. Nel 1948 la penisola che ha una superficie complessiva di 219.681 chilometri quadrati viene divisa in due distinte unità politiche. Da una parte la Repubblica popolare democratica di Corea, DPRK, detta comunemente Corea del Nord, con capitale Pyongyang, estesa su 120.538 chilometri quadrati, dall'altra la Repubblica di Corea, ROK, meglio conosciuta come Corea del Sud, che ha come capitale Seoul.

Kim Jong Il ha otto anni quando nel giugno 1950 scoppia la guerra tra Nord e Sud Corea alla quale partecipano anche Cina e Usa, il conflitto si conclude nel '53 con un armistizio che riconferma la divisione lungo la linea del 38° parallelo. All'ombra del grande padre che fa suo lo slogan dell'Urss del compagno Vladimir Ilic: "Lenin ha vissuto. Lenin è in vita. Lenin rimarrà vivo", il giovane Jong frequenta il Politburo da dove si guarda al futuro della piccola penisola considerata come un'emanazione dell'Unione Sovietica.

IL SUCCESSORE

A trent'otto anni il padre lo nomina suo successore e Kim Jong inizia a coltivare un pensiero raffinato, partendo dalla considerazione che i coreani del Nord preferiscono chiamare il loro Paese col vecchio nome di Choson ("calmo mattino") mentre i coreani del Sud usano il termine "Han'guk" ("Paese han") e tutti i coreani nel nominare la patria ricorrono però all'espressione "uri nara", ossia "il mio (nostro) Paese", vorrebbe tentare una riunificazione, naturalmente in chiave comunista. Nel frattempo gli apparati di governo hanno costruito attorno a lui, definito il "Caro leader", un culto della personalità ricalcato sull'esempio del "Grande leader". Già dopo la laurea nel 1964, il giovane rampollo si era assunto il ruolo di zar culturale del Partito dei lavoratori, con particolare attenzione per la produzione editoriale e cinematografica, una vera ossessione quella per i film che ha provocato il rapimento, nel 1978, dell'attrice sudcoreana Choi En-hui e del marito, il regista Shing Sangok, considerato l'Orson Welles della Corea del Sud, dopo quattro anni di prigionia in un "campo di rieducazione" En-Hui cede e accetta di girare il film "Pulgasari" che racconta la storia di un piccolo grano di riso che cresce e si sviluppa in maniera incredibile, fino a trasformarsi in un gigantesco mostro, una sorta di Godzilla comunista, che lotta al fianco dei contadini oppressi.

Nel '91 Kim Jong Il è nominato comandante dell'esercito nordcoreano, è l'ultimo passo di un lungo processo di attribuzione di poteri e l'inizio di una serie di leggende che circondano la sua immagine. Quando il padre "immortale" nel 1994 muore improvvisamente d'infarto, molti predicono un rapido crollo della Corea del Nord, le potenti alleanze si sono dissolte con la caduta del blocco sovietico e lo spostamento della Cina verso un sistema di mercato; inoltre una serie di alluvioni ha ridotto alla carestia il Paese, un pessimo momento per sostituire l'unico leader che la Corea del Nord avesse mai conosciuto.

I FUNERALI

Dopo gli elaborati funerali del "Grande leader", Jong Il sparisce per alcuni anni, il che da adito a molte voci, poi ricompare improvvisamente l'8 ottobre 1997 per proporre una nuova struttura di governo da lui progettata, viene nominato nuovo segretario del PLC (Partito comunista dei lavoratori) e Presidente della Commissione di difesa nazionale. Un governo singolare modellato su un particolare stalinismo intriso della filosofia "juche" (termine traducibile in "autosufficienza").

Il suo livello di venerazione aumenta, molti lo ritengono non solo un leader di grande livello, ma un uomo di alto profilo morale.

Se sia vero o meno non importa, per la potente macchina propagandistica che lo segue ovunque se si vuole avere a che fare con lui e con la Corea del Nord, bisogna capirne il sistema mentale: la percezione è la realtà.

I media nordcoreani presentano il "Caro leader" come un uomo straordinario dai mille interessi e lo paragonano addirittura a Leonardo da Vinci, enfatizzano il fatto che ha avuto tre bellissime mogli, di cui una russa, ma dimenticano che l'ultima, un'ex attrice, è fuggita all'estero dopo avergli dato un figlio, Kim Nam Jong, che venne designato come erede ma che a vent'anni era già alcolizzato. Nessuno sa che fine abbia fatto.

La politica militante di Kim Jong si basa sui continui ricatti del dittatore che dispone di un arsenale atomico terrificante col quale minaccia il mondo. Il fatto è che il ricattatore è pazzo davvero. Da almeno dieci anni lancia missili balistici e Scud che sorvolano agevolmente IL Giappone e la Corea del Sud. Ha allungato il ramoscello d'ulivo a Seoul, ma lo scorso marzo ha improvvisamente lanciato nuovi missili balistici che dalla costa occidentale sono finiti volutamente in mare per dimostrare con quanta facilità può colpire la Corea del Sud ed il Giappone.


MEDIAZIONE CINESE

Pessimi segnali che la diplomazia americana ha definito «non costruttivi». Il basso profilo del Dipartimento di Stato si spiega con l'accordo che il "monarca rosso" aveva preso di interrompere l'escalation nucleare in cambio di generosi aiuti economici da parte di Stati Uniti e Corea del Sud. Il mediatore decisivo per quell'intesa fu la Cina, ci potrebbe essere un nesso tra i missili nordcoreani e le accuse occidentali alla Cina sul Tibet. Un promemoria per Washington: i buoni uffici della diplomazia cinese non sono gratuiti.

Il "Caro leader" coltiva con assiduità l'arte della menzogna con la stessa passione che ha per i film interpretati da Elizabeth Taylor e da Sean Connery-007, continua a vendere tecnologie militari alla Siria, all'Iran, ai gruppi terroristici. Domina un Paese che è un immenso Gulag, la sua gente non sa nulla di ciò che avviene nel mondo (ignora persino l'11 settembre) eppure per i nordcoreani il "monarca rosso" resta l'uomo della salvezza.

(Guglielmo Sasinini)

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Kim Jong Il

 

IL COLONNELLO ROSSO
II presidente del Venezuela Hugo Chavez parla ai suoi sostenitori del Partito Socialista Unito. Politico populista e con tendenze dittatoriali, Chavez ha sviluppato una dottrina nazionalista di sinistra ribattezzata "Bolivariana", in quanto è ispirata dalla filosofia Panamericanista del rivoluzionario venezuelano dell'800 Simón Bolivar. Inoltre il programma del presidente venezuelano, spesso in contrasto con i ceti produttivi del Paese, è fortemente influenzato dal pensiero comunista. Non è un caso se il "caudillo" sudamericano abbia tentato di creare una coalizione anti-statunitense insieme a Cuba, il Brasile, la Bolivia e l'Argentina.

 
 

CHI E’

IL PRESIDENTE - Hugo Rafael Chavez Frias (nato a Sabaneta il 28 luglio1954) è l'attuale presidente del Venezuela.

GOLPISTA - Promosso al grado di colonnello dei paracadutisti, Chavez ha fondato il Movimento "Quinta Repubblica" dopo aver organizzato, nel 1992, un fallito colpo di Stato contro l'allora presidente Carlos Andres Perez.

PER I POVERI - Chavez è stato eletto presidente nel 1998 grazie alle sue promesse di aiuto per la maggioranza povera della popolazione del Venezuela ed è stato rieletto nel 2000 e nel 2006.

 
Il caudillo socialista affascinato dagli stregoni.    
Castro, Bolivar e riti voodoo, le armi segrete
del presidente venezuelano all'attacco di Bush e Israele
   
 

Lo definiscono l'ultimo comunista, nuovo "caudillo" del Venezuela, l'interprete di Castro-Che Guevara-Simon Bolivar. In realtà l'ex colonnello dei parà Hugo Rafael Chavez Frias in fatto di ideologia è piuttosto confuso. Nato a Sabaneta, nello stato di Barinas il 28 luglio 1954, suo padre Hugo del los Reyes Chavez era un maestro rurale che a causa delle ristrettezze economiche per mantenere la numerosa famiglia fu costretto ad affidare due figli, il piccolo Hugo e il fratello maggiore Adan, alla nonna patema Rosa Ines, che viveva in una piccola casetta da indio fatta di paglia e fango secco.

A diciassette anni Hugo Chavez si arruola nell'Accademia militare. Il ragazzo si fa strada a testa bassa, si laurea in Scienza e arti militari e conquista i gradi di ufficiale, in seguito tenta di laurearsi anche in Scienze politiche all'università Simon Bolivar di Caracas ma dopo due anni interrompe gli studi: i suoi pensieri sono altrove.

BASEBALL E CULTURA

Con un gruppo di colleghi ufficiali ha infatti sviluppato una dottrina nazionalista di sinistra che chiamano "Bolivariana" ispirata al panamericanismo del rivoluzionario venezuelano dell'800 Simon Bolivar. Chavez diviene un leader, ma trova anche il tempo per dedicarsi ad attività culturali, per giocare a baseball e softball, arrivando fino ai campionati nazionali; scrive poesie, racconti e opere teatrali.

Il colonnello è affascinato dal pensiero bolivariano che fa perno sul concetto di integrazione e costruzione della sognata e mai realizzata "Gran Colombia" (Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia). L'indio di indole ribelle si mette spesso nei guai con le gerarchie perché non condivide le azioni di repressione dell'esercito. Organizza riunioni segrete col suo gruppo di para affascinati dall'ideologia bolivariana. Nel 1983 crea il "Movimento bolivariano MBR-200" che riunisce soprattutto appartenenti alle forze armate venezuelane e nel 1991, quando Chavez viene promosso colonnello, iniziano i primi tintinnar di sciabole.

L'anno seguente, il 4 marzo del '92, Chavez guida un colpo di Stato delle forze militari che tentano di rovesciare il presidente Carlos Andres Perez. Il golpe fallisce e il colonnello viene imprigionato nel carcere di Yare in Valles del Tuy. Ma la sua detenzione dà vita a un grande movimento popolare che organizza centinaia di manifestazioni per reclamare la liberazione del nuovo "libertador" populista. Il governo di Caracas si preoccupa e nel '94, ricorrendo ad un'amnistia, lo rimette in libertà costringendolo ad abbandonare le forze armate.

Non è un problema per Hugo Chavez che i suoi continuano a chiamare "comandante". Lui nel frattempo ha messo a punto la sua traiettoria politica: fonda il movimento "Quinta Repubblica", promuove la visione del socialismo democratico, dell'integrazione dell'America Latina e dell'anti-imperialismo, è un fervente critico della globalizzazione neoliberista e della politica estera statunitense. Quando il nuovo "caudillo" parla le piazze venezuelane sono gremite, lui usa il linguaggio del popolo, ostenta le sue umili origini ed enfatizza il fatto che sia un meticcio.

Nel '98 si presenta come candidato alle elezioni presidenziali, stravince grazie alle sue promesse di aiuto per la maggioranza povera della popolazione del Venezuela, conquista ufficialmente l'appellativo di "libertador" (che fine a quel momento era stato riservato solo a Simon Bolivar). Viene rieletto presidente del Venezuelanel 2000 e nel 2006 grazie alle "Missioni bolivariane", i cui obiettivi sono quelli di combattere le malattie, l'analfabetismo, la malnutrizione, la povertà, la corruzione e tutti gli altri mali sociali. In politica estera si muove contro il Washington Consensus sostenendo i modelli di sviluppo economico alternativi, chiedendo la cooperazione dei Paesi più poveri del mondo, specialmente di quelli sudamericani.

Chavez si è sposato due volte, attualmente vive separato dalla seconda moglie, Marisabel Rodriguez de Chavez, ha quattro figli, Rosa Virginia, Maria Gabriela, Hugo Rafael e Rosinas. Nei momenti difficili si isola dalla famiglia e scava nel suo inseparabile "bagaglio" che contiene un basco da para, un crocifisso e la Bibbia, un piccolo libro blu che contiene la Costituzione del Venezuela e infine una biografia di Simon Bolivar.

L'inquilino di Palazzo Miraflores a parte il "suo" cristianesimo, pratica altre pseudo "religioni" tradizionali, si dice che sia legato ai "babalaos" santoni-stregoni che fanno "consulenze" anche a Fidel Castro. Da quando si sono stabiliti in Venezuela certi cubani i riti di "santeria" (sorta di sincretismo tra religione cattolica e riti di magia nera indiana e africana) vengono praticati anche all'interno delle caserme dove i "santeros" sono temutissimi.

Dopo le vittorie chaviste per i governatori degli Stati nell'ottobre 2004, nelle amministrative del 2005 e nelle elezioni per l'Assemblea Nazionale, Hugo Chavez nel maggio 2006 compie una serie di visite ufficiali in Europa, Italia compresa, incontra Papa Bendetto XVI° e il neoeletto presidente della Camera Fausto Bertinotti, parla al convegno della Fao a Roma. In settembre intervenendo all'Assemblea delle Nazioni Unite, definisce il presidente Bush «il diavolo in persona» e appena lo vede entrare si fa il segno della croce. Il 3 dicembre 2006 si svolgono le elezioni presidenziali, Chavez con il 62,87% dei voti risulta il più votato presidente del Venezuela dal '58, il suo programma denominato "Socialismo del XX° secolo" lo porta sugli altari.

LÌDER MAXIMO

Lui è raggiante e in qualità di lider maximo della "revolucion bolivariana" frequenta pessime compagnie: Gheddafi, Ahmadinejad, Bashar Assad, Hassan Nasrallah, Kim Jong II, Alexander Lukashenko.
Si guadagna le simpatie del mondo arabo e di quello palestinese con le dichiarazioni: «I veri terroristi sono gli israeliani. Il popolo che ha ucciso Gesù ora controlla l'economia mondiale» e: «George Bush andrebbe processato davanti a un tribunale internazionale per genocidio in Iraq. Gli Stati Uniti rappresentano un pericolo per tutti, soprattutto per i nostri figli. L'impero nord-americano è il più crudele, assassino e selvaggio del mondo. Rappresenta una minaccia per la Terra». Il compagno Chavez propone a tutti gli antiamericani alleanze contro l'imperialismo, promette aiuti economici e soprattutto tanto petrolio.

Lo scorso dicembre Hugo Chavez dopo che i "no" hanno vinto con il 51,5% mentre il suo fronte del "si" non è riuscito a superare il 49,20% ha reagito alla sconfitta al referendum sulle riforme costituzionali da lui stesso proposto con la rabbia del meticcio predicatore: «Una vittoria di merda», l'ha definita l'inquilino di Palazzo Miraflores il cui mandato scadrà nel 2013, «presto ci riproveremo e le cose cambieranno anche per i tanti traditori della patria. Questa è una promessa». Ma tutto dipenderà da quello che i suoi "santeros" gli consiglieranno dopo aver sgozzato alcuni galli in una notte di luna piena.

(Guglielmo Sasinini)

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Kim Jong Il

 

DIFENSORE DELLE TOP MODEL
Alyaksandr Lukashenko (nella foto) ha definito le bielorusse protagoniste delle passerelle e delle riviste di moda «risorsa strategica nazionale». E così, con un decreto, ha posto limiti e paletti al loro espatrio. Come tali, infatti, le top model bielorusse sono sottoposte a «tutela commerciale particolare». Il padre-padrone di Minsk ha introdotto tasse, dazi, autorizzazioni impossibili per le agenzie straniere. Necessario inoltre un permesso scritto del governo. Da Maria Didarova (Supermodel of the Worid nel 2005) a Marina Prudnikova (Miss Metropolitan), da tempo le bielorusse rubano cuore e portafogli agli uomini più ricchi del pianeta.

 

  CHI E’

ORIGINI CONTADINE
Nato il 30 agosto del 1954 a Vitsyebesk da famiglia contadina, Alyaksandr Lukashenko è Presidente della Bielorussia dal 1994.

MILITARE
Laureato in Economia nel 1974, ha servito l'esercito sovietico negli anni 1975-77 e 1980-82. Nel 1985 è eletto direttore della "sovhoz", la grande "fattoria" dello Stato.

STATALISTA
Nel 1990 è eletto deputato del Soviet Bielorusso. Come Presidente ha portato avanti una serie di misure anti-corruzione e ha mantenuto l'apparato statalista dell'ex Urss.

 
Harem e fisarmonica. Ecco l'ultimo stalinista    
Per il presidente bielorusso il comunismo è ancora attuale.
Lo odiavano tutti, è diventato un tiranno.
   
 

È istrionico, nostalgico, populista, rimpiange l'Unione Sovietica e i tempi di Lenin suonando una fisarmonica che lo accompagna mentre canta malinconicamente una vecchia canzone.

Alyaksandr Lukashenko è nato il 30 agosto del 1954 a Vitsyebesk, nella Bielorussia orientale, da una famiglia di origini contadine, orfano di padre, ma in effetti l'identità paterna non è mai stata rivelata, il patronimico Ryhoravich indica solamente che il genitore si chiamava Grigory e anche i dettagli sulla madre, Katsyaryna Trafimauna Lukashenka, sono molti scarsi. Sasha il ragazzo destinato a diventare il primo presidente della Bielorussia, non ha mai accennato ad alcun amico o parente d'infanzia, in rare occasioni confessa di essere cresciuto "tra animali e piante" e di aver aiutato la madre contadina a mungere le vacche.

Profondamente antipatico ai suoi coetanei che lo tormentavano e lo deridevano con appellativi duri e offensivi, Lukashenko cresce in solitudine e si impegna a vendicarsi non appena se ne presenterà l'occasione. Sogna di diventare un guidatore di trattori, successivamente indirizza i suoi studi verso la musica, quando la madre riesce a comprargli una fisarmonica usata, poi si diploma in pedagogia, ha un ottimo profitto e lo Stato gli paga l'università, si laurea due volte, in Storia nel 75 e in Economia nell'85, anno in cui si sposa con una compagna di scuola, Halina Zhaunerovich, dalla quale ha due figli, Victor e Dmitry.

IL DIRIGENTE

Ma Sasha non è un uomo da famiglia: ben presto relega la moglie in una solitaria casetta del villaggio d'origine e convive con numerose amanti. Conosce bene gli apparati militari per i suoi trascorsi nell'Armata Rossa, prima come guardia di confine, poi nel Kgb dal quale si congeda nell'82, quando assume la dirigenza di un'industria agraria. Ma il suo sogno è la politica. Nel '90 viene eletto al Soviet Supremo della Bielorussia. L'organismo sta per essere disarticolato, tuttavia Lukashenko muove i primi passi verso la leadership del Paese fondando una corrente del Soviet chiamata "Comunisti per la democrazia" il cui obiettivo è la modernizzazione democratica dell'intera Unione Sovietica ma nel rispetto dell'ideologia dogmatica marxista.

Un progetto che contrasta con la nascita dalle ceneri dell'Urss della Comunità degli Stati Indipendenti, ma ancora oggi il presidente bielorusso ricorda di essere stato l'unico a Minsk che si è opposto alla nascita della Csi. Tra il '90 e il '91 inizia a costruirsi un'immagine positiva e la reputazione di capace oratore, due eccezioni nel panorama politico dell'ex Urss ormai sfibrata e priva di progetti. Lukashenko abilmente si svincola dal declino dell'impero sovietico, propone un severo programma anti-corruzione e nel '93 viene eletto al Parlamento di Minsk.

Il suo primo atto politico è l'accusa di appropriazione indebita di fondi statali che rivolge a 70 parlamentari. Ma la sua posizione inizia ad essere ambigua, da una parte concentra gli attacchi verso la nomenklatura ex sovietica, dall'altra non rinuncia allo stretto legame con il Partito comunista bielorusso e a quello ancora più vincolante con il Cremlino e coi servizi segreti russi.

Il 1994 è l'anno della svolta. Grazie ad una riforma costituzionale che prevede l'elezione diretta del presidente della Repubblica, Lukashenko si candida alla guida della Bielorussia. Viene eletto al secondo turno con oltre l'80% dei voti.L'Ue inizia a temere la nascita dell'ultima dittatura d'Europa, ma lui viene acclamato dai suoi sostenitori come bat'ka ("padre"). Il nuovo presidente è giovane, non ha esperienza politica, ma promette di governare il Paese con trasparenza, avviando un'opera di pulizia dei funzionali statali corrotti, di lotta a tutti gli abusi e promuovendo la stretta collaborazione tra Minsk e Mosca.

Promesse che piacciano molto ai nostalgici e ai bielorussi vittime della dissoluzione dell'economia sovietica che ha provocato il crollo del 50% dell'occupazione. Lukashenko alza i salari minimi, immette valuta sul mercato ma la conseguenza è un'impennata dell'inflazione che costringe il governo di Minsk a ripristinare il controllo dei prezzi, secondo il metodo sovietico.

Le mosse economiche di "Bat'ka" producono interventi sanzionatori da parte della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale che sospendono gli aiuti finanziari promessi con l'indipendenza del Paese. Ma l'allora premier russo, Viktor Chernomyrdin scende in campo in prima persona per difenderlo e tutti tacciono. Rincuorato il leader bielorusso punta ad una modifica costituzionale per il rafforzamento dei poteri del Capo dello Stato. La riforma ottiene il sostegno dell'84% dei voti referendari e porta all'immediata chiusura della Camera dei deputati e all'elezione di una nuova Assemblea i cui membri sono tutti favorevoli a Lukashenko.

Una politica esplicitamente autoritaria che ha come "spalla" la Russia. Tra Boris Yeltsin e poi Vladimir Putin e Minsk vige un patto di ferro e nel 2001 quando si conclude il mandato presidenziale Lukashenko ottiene facilmente la riconferma fino al 2006. Alla scadenza il "padre del popolo" ricorrendo ad un'ulteriore riforma costituzionale abroga i limiti di eleggibilità (non più di due mandati consecutivi) e il 19 marzo 2006 strappa con un risultato plebiscitario (84,2%) il suo terzo mandato, praticamente illimitato. Lukashenko si insedia con tutti gli onori come Presidente della Repubblica Bielorussa.

IL REPRESSORE

L'arresto illegale dei dissidenti, la mancanza di opposizione, di libertà di critica e di stampa, e i rapporti che il premier ha mantenuto prima con l'Iraq di Saddam Hussein, e attualmente con l'Iran, col quale collabora attivamente nella corsa al nucleare, con la Siria, la Cina, la Corea del Nord, preoccupano molto gli Usa e l'Ue che si trova come vicino di casa un piccolo Stalin. Mentre per la sicurezza e la difesa i rapporti con la Russia sono ottimi, il gas e petrolio sono causa di forti tensioni.

La Bielorussia ha dovuto accettare un prezzo più che doppio per il gas russo al fine di evitare il blocco dei suoi gasdotti; Mosca ha poi accusato Minsk di operare prelievi illegali dai suoi oleodotti il che ha provocato una crisi che ha portato un'interruzione delle forniture a Germania, Polonia e altri stati dell'Europa centro-orientale. Il conflitto energetico è proseguito con l'aumento della tassa che il petrolio russo paga per transitare sul territorio bielorusso.

Per tacitare i malumori di Lukashenko Mosca fornisce a Minsk nuovi sistemi missilistici anti-aerei S-300 e SA-10 schierati nei pressi di Brest e di Grodno. Ma la carta che il dittatore si tiene di riserva è l'armamento nucleare di cui dispone in gran quantità.

La Bielorussia fin dai tempi della Guerra Fredda ha costituito l'avamposto più a Ovest di tutta l'Unione Sovietica che ha sempre ospitato le maggiori basi missilistiche dell'Urss. Per gli Stati Uniti e l'Ue la Bielorussia è un paese a rischio e un alleato del terrorismo internazionale che vende armi e tecnologie militari ad organizzazioni terroristiche, anche di matrice islamica.

Ma l'ultimo dittatore d'Europa che rimpiange Berija e Stalin conosce la grande sete energetica dell'Unione e recita la parte del duro su incarico di Putin e di Medvedev.

(Guglielmo Sasinini)

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Kim Jong Il

 

IN NOME DEL PROFITTO

Wen Jiabao è i! volto tipico del potere cinese. Spregiudicato e affarista, cerca di dare all'estero l'immagine del politico pragmatico, lontano dagli estremismi ideologici della vecchiaguardia maoista. In realtà il premier del Consiglio di Stato di Pechino, dalla strage di Tiananmen ad oggi, unisce al piglio tecnocratico una buone dose di cinismo e di capacità di gestione del sistema repressivo comunista. Fra Laogai, campi di rieducazione e arresti indiscriminati di dissidenti e oppositori politici, il Colosso asiatico è in cima alle classifiche mondiali degli Stati che violano sistematicamente i diritti umani. E Jiabao è a capo del potente apparato poliziesco cinese

 

 

CHI E’

 

INGEGNERE

Wen Jiabao è nato il 15 settembre 1942 a Tianjin, città costiera del nord della Cina. Si è iscritto al partito comunista nel 1965, in piena rivoluzione culturale. È laureato in ingegneria.

 

GERARCA

È il Primo Ministro del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese dal 2003.

 

IL MASSACRO

Il 19 maggio 1989 in Piazza Tiananmen diede l'ordine di fermare la protesta degli studenti che chiedevano riforme e democrazia. La repressione della manifesta-zione provocò, secondo la Croce Rossa, 2.600 morti.

 

Il macellaio di Tiananmen in doppiopetto

 

 

Ai vertici del regime dal 1989, è la mente del capitalismo selvaggio e del sistema repressivo cinese

 

 

 

È Per la maggior parte delle persone l'immagine della Cina scolpita nella memoria è quella di piazza Tiananmen, del ragazzo che da solo blocca una colonna di carri armati. Le imponenti manifestazioni studentesche della primavera dell'89 in quella piazza politicamente sacra del centro di Pechino, paralizzarono per settimane il governo cinese e attirare -no l'attenzione del mondo, i media per-la prima volta inviarono notizie e immagini in diretta dall'altra parte della Muraglia. Il 4 giugno '89 si scatenò la repressione militare, solo nei dintorni di piazza Tiananmen vi furono dai 300 ai 500 morti, complessivamente furono uccise dalle 2000 alle 3000 persone.


OLTRE IL MAOISMO

Chi si illuse che anche a Pechino potesse iniziare quella trasformazione democratica che era in atto in Unione Sovietica e nell'Europa orientale, chi sperò che grazie ai ragazzi cinesi che scandivano lo slogan chiave: minzhu (democrazia) nascesse un processo di scardinamento del maoismo ancora imperante nella Repubblica popolare cinese, rimase annichilito da tanta violenza. Quel giorno di giugno accanto all'allora leader del partito comunista Zhao Ziyang, c'era un gelido personaggio che con un megafono in mano intimò ai manifestanti di cessare immediatamente l'occupazione della piazza per evitare un massacro, quindi con un gesto della mano scatenò i militari: era Wen Jiabao, potentissimo primo ministro del Consiglio di Stato e membro del Comitato permanente del Politburo del partito comunista cinese.

Ancora oggi Wen Jiabao è l'uomo forte della Cina, un intramontabile mandarino, l'essenza del potere cinese, cambiano i presidenti ma lui resta, l'eterno premier più volte rieletto che nessuno all'interno del Politburo osa criticare, a meno che non voglia finire in un manicomio o in un campo di rieducazione.

Nato nel settembre 1942 nel comune di Tianjin, Wen Jiabao nell'aprile del 1965 entra nel Comitato centrale, si diploma a Pechino all'istituto di geologia, si specializza in geopolitica e si laurea in ingegneria. La sua formazione è improntata al credo del grande timoniere, Mao Zedong, al socialismo nel quale il partito comunista ha un'assoluta preminenza: è lui la vestale dell'ortodossia cinese, al quale il presidente Hu Jintao, come i suoi predecessori, ha delegato tutti i poteri. Wen Jiabao ha fatto inserire nella Costituzione il principio dell'economia socialista di mercato introducendo il diritto alla proprietà privata, lo stato di diritto, il rispetto e la difesa dei diritti umani, il superamento del principio della pianificazione socialista. Il partito comunista cinese alle dirette dipendenze del premier auspica che la Cina diventi una grande potenza rispettata e temuta. Il premier ha guidato il boom economico degli ultimi vent'anni basandosi su quella che il professor Qin Hui della Tsinghua University di Pechino ha definito il «vantaggio della scarsa attenzione ai diritti umani, dei lavoratori, dei consumatori». Attraendo i capitali dall'Occidente il "grande manovratore" tenta di far dimenticare che la Cina è il mondo della corruzione, dell'inquinamento, dei lavoratori schiavi, dei bambini rapiti e abusati, delle merci contraffatte che finiscono sul mercato internazionale, delle violazioni sistematiche dei diritti umani, dei dissidenti che vengono prelevati nottetempo dalla polizia e spariscono nel nulla.

Il peggior incubo di Wen Jiabao è che in occasione delle Olimpiadi si possa nuovamente verificare ciò che accadde in piazza Tiananmen. Nella primavera dell'89 le autorità cinesi avevano infatti invitato per la prima volta i media internazionali a Pechino per seguire la storica visita del segretario generale del Pois, Michail Gorbacev, fissata per il 15 maggio, che segnava un riavvicinamento di enorme importanza tra i due paesi protagonisti del movimento socialista mondiale. Deng Xiaoping e Wen Jiabao volevano mostrare a Mosca il volto della nuova Cina e per questo avevano invitato a Pechino i network televisivi. Poi fecero irruzione su quella scena allestita con cura le manifestazioni studentesche che distrussero l'effetto diplomatico e mostrarono al mondo un volto della Cina che non era certamente quello disegnato per l'occasione da Wen Jiabao.

A partire da Den Xiaoping tutti i leader cinesi continuano a condannare le dimostrazioni di piazza Tiananmen e dintorni come «disordini controrivoluzionari».

Per l'eterno premier la risposta è sempre la stessa: «Portammo l'ordine in un momento in cui dei teppisti di strada stavano terrorizzando Pechino». Il milione e passa di giovani che parteciparono alle manifestazioni dell'89 la pensano diversamente. Wen Jiabao è prudente, si mostra in pubblico in rarissime occasioni, ciò che avviene nel suo sterminato paese glielo comunica ogni giorno il capo della polizia segreta. È l'architetto delle riforme che stanno definendo la Cina di oggi, ma quando e dove sono iniziate queste riforme? Quali sono i loro obiettivi? Le riforme del dopo Mao, generalmente fatte risalire ai tardi anni Settanta, per molti aspetti sono una continuazione di quelle avviate dal regime maoista e di quelle tuttora proposte che prevedono aperture e riforme economiche ma senza liberalizzazione politica, democrazia, possibilità di dibattito intellettuale, libertà di espressione.
Per Wen Jiabao l'il settembre 2001 non è stata una data critica, la Cina ha margini più ampi rispetto ad altri Stati, il suo peso economico le consente di entrare e uscire dalla coalizione antiterrorismo senza incorrere in gravi sanzioni. Non a caso le banche cinesi finanziano una percentuale cospicua e crescente del debito nazionale statunitense. Wen Jiabao persegue gli interessi nazionali operando soprattutto attraverso il sistema internazionale, evitando contrasti aspri e affidandosi alla diplomazia, sia a quella ufficiale sia a quella occulta. Adesso sta anche tentando di ridurre il divario con l'arsenale militare americano. Secondo gli analisti, entro il 2010 la Cina avrà una ragguardevole flotta e un armamento nucleare di grande potenza, in questo Pechino va d'accordo con Teheran e Pyongyang.


BUGIE E MUSCOLI

Per il premier il dispositivo militare servirà a difendere i canali energetici e commerciali, ma potrebbe anche riaccendere le ostilità con Taiwan, il che metterebbe la flotta cinese in collisione con le forze statunitensi presenti in Asia orientale. La possibilità di una guerra nello stretto di Taiwan è reale. Pechino racconta bugie e mostra i muscoli perché sa che se dovesse crollare la Cina sarebbe una catastrofe che trascinerebbe tutta l'Asia, e via via i sistemi economici, sociali e ambientali del Medio Oriente, dell'Africa, dell'Europa, delle Americhe. Negli ultimi anni Wen Jiabao ha svolto un ruolo chiave per rimpinguare le casse del partito, per risanare il sistema bancario, avviare un forte dialogo con la comunità economica internazionale, adesso ha bisogno degli effetti speciali. Il maquillage ideale per il grande manovratore sono le Olimpiadi, ma non può permettersi che anche questa volta gli studenti, i contadini e tutti coloro che ormai non credono più alle promesse di riforme mai attuate gli rovinino la festa.

(Guglielmo Sasinini)

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