Tutte
le religioni hanno origine dagli
stessi universali bisogni. Ognuna
comprende concetti come rispetto,
obbedienza, misericordia, studio,
preghiera e sottomissione. Ogni
religione ordina e sottolinea in
maniera differente questi elementi,
ma la loro radice è identica: il
desiderio di comprendere il Divino e
i suoi orientamenti per l’umanità.
Allo stesso modo l'impulso politico,
comunque si manifesti, deve
procedere da un'universale esigenza
di dare ordine alle relazioni
sociali.
Le emozioni
possono elevare concrete differenze
di schieramento al piano spirituale
o dottrinale (rendendole
inconciliabili). Per esempio è
probabile che i Democratici più dei
Repubblicani credano alla buona fede
dei terroristi catturati mentre
combattono contro il nostro Paese, e
che molti Liberal di origine ebraica
credano più alle dichiarazioni di
Hamas che a quelle di Israele.
Durante le elezioni del 2008 al
centro dei programmi di entrambi i
partiti c'era la necessità di
cambiamenti in campo ambientale,
sociale e finanziario. La Destra
riteneva che un ritorno ai principi
della tradizione avrebbe fermato la
corsa verso la bancarotta e i
pericoli geopolitici che corriamo.
Suggeriva politiche di
conservatorismo sociale, un maggiore
e più flessibile sfruttamento delle
risorse naturali, tasse più basse e
forze armate più potenti. L'opinione
della Sinistra era che il
Cambiamento in se stesso fosse un
bene - che il problema non dovesse
essere trattato ingegneristicamente
(con atti la cui efficacia fosse
storicamente dimostrabile) ma che
dovesse essere affrontato
psicologicamente, identificando «il
cambiamento in se stesso» come
soluzione.
La sottostante
questione, comune a entrambe le
parti era come gestire i cambiamenti
necessari; la risposta dei
conservatori - maggior sfruttamento
delle risorse e limitazione delle
spese superflue - appare di fatto
l'applicazione di buoni principi di
amministrazione; quella dei liberai
una rinuncia ad essi. Ognuna delle
due parti aveva proposte nel campo
della sicurezza: i Liberal
suggeriscono la politica della
distensione, i conservatori un
aumento degli armamenti; ogni parte
appariva interessata ai temi della
giustizia: i conservatori ritengono
che questa possa essere raggiunta
con una severa applicazione del
concetto di sovranità della legge,
i Liberal con la concessione di più
diritti.
Le mie prime
opere teatrali si occupavano di
capitalismo e affari. Il tema mi
coinvolgeva dato che stavo tentando
di mantenermi e come molti altri
giovani uomini o donne mi ero
trovato di fronte a una ostinata
realtà: il mondo sembrava non
accorgersene. In quel periodo non
mettevo in discussione il mio
presupposto «tribale»: il
capitalismo è un male. Anche se,
allo stesso tempo, sul piano pratico
non ho mai agito di conseguenza.
Cercavo di mantenermi, come tutti
quelli che non vivono a spese dello
Stato, operando nel libero mercato.
Allora mi piacevano - anzi, come
molti miei contemporanei ne avevo un
rispetto sacrale - i lavori
propagandistici di Brecht, e la sua
condanna del capitalismo. Più tardi
mi è venuto in mente che anche le
sue opere erano tutelate dal diritto
d'autore, e che anche lui,
esattamente come me, viveva grazie
ai meccanismi del libero mercato.
Il suo atteggiamento di protesta non
derivava, né avrebbe potuto, dal suo
comportamento. Allora perché si
dichiarava comunista? Perché era una
scelta vincente dal punto di vista
commerciale. L'ammirazione del
pubblico verso le sue opera lo
manteneva economicamente; così come
Marx era stato mantenuto dalla
fortuna che la famiglia di Engels
aveva messo insieme vendendo mobili;
così come le università, fondate e
finanziate dal sistema della libera
impresa -e cioè dall'accumulazione
di ricchezza- ospitano, sostengono,
viziano generazioni di giovani
impegnati in dissertazioni sui mali
dell'America.
Non possiamo
vivere senza lo scambio. Una società
non può progredire né migliorare
senza un eccesso di reddito
disponibile. E questo eccesso può
essere accumulato solo grazie alla
produzione di beni e servizi che la
gente considera necessari o
desiderabili. Un sistema finanziario
che lo consente conduce alla
disuguaglianza; un sistema che non
lo consente alla fame di massa. A
Brecht, un tedesco dell'Est, i
comunisti consentivano di tenere i
suoi soldi e di vivere negli agi
svizzeri, vero animale da fiera del
comunismo. E quello che è riuscito
a portare a casa, in ogni caso, non
deve essere visto come una condanna
ma come una consacrazione del potere
della libera impresa. E lo stesso
vale per la passione, apparentemente
insradicabile, verso il dirigismo
statale. È il libero mercato delle
idee a mantenere sulla cresta
dell'onda questa assurdità, così
come fa per ogni altro tipo di
divertimento disprezzato e definito
«stupido» dalla sinistra. Ma la
finzione del Dirigismo Statale,
dell'Economia pianificata è nella
sua essenza, un reality show, vale a
dire un imbroglio. E in generale le
Buone Cause della sinistra sono come
le gare automobilistiche che si
corrono nei circuiti americani:
offrono l'eccitante distrazione di
vedere le auto che girano in un
cerchio ma non vanno da nessuna
parte.
Chi
non vuole la giustizia? Ognuno di
noi naturalmente la vuole per sé e
tutti, salvo pochi senza senso
morale, capiscono che dobbiamo
essere giusti gli uni con gli altri.
Il problema è la sua distribuzione,
perché la giustizia non può essere
infinita. C'è una finita quantità di
tempo, conoscenza saggezza e denaro.
E dunque mettere tasse senza limiti,
anche nel tentativo di perseguire la
giustizia, non può che causare
ingiustizia da qualche altra parte.
Si può essere giusti nei confronti
delle foreste, ma si impoveriscono i
boscaioli e si aumentano i costi per
costruire nuove case; se a tutti i
detenuti si consente un accesso
illimitato a tutti i tribunali, per
i quali tempo ed energia sono finiti
come ogni altra cosa, ad altri
postulanti bisognerà imporre delle
restrizioni. Per quanto mi riguarda
la rivelazione è stata la lettura di
«La strada della servitù» di
Friedrich Hayek: è stato lui a
spiegarmi che c'è un costo per ogni
cosa, non c'è nulla che non abbia un
costo, e l'energia impiegata per A
non può essere usata per B. Ed è
questo il significato di costo: la
rinuncia ad altri impieghi del
denaro. Hayek scriveva che non ci
sono soluzioni ma solo compromessi:
il denaro speso in vigili urbani non
può essere speso in libri. Entrambi
sono necessari, una scelta bisogna
farla e questa è la tragica realtà
della vita. Tutto mi è diventato
chiaro. E, come per la sequenza di
Fibonacci ho iniziato a vederne
l'applicazione dappertutto. Milton
Friedman ha fatto notare che il
sofisma: «Un Paese in grado di
mandare un uomo sulla Luna dovrebbe
provvedere a garantire pasti gratis
nelle scuole» manca il bersaglio. Il
paese non può garantire pasti gratis
nelle scuole proprio «perché» ha
mandato un uomo sulla Luna: i soldi
sono sempre quelli. L'ho capito
perché anch'io ho un libretto degli
assegni, e leggendo ho realizzato
che l'equazione non è diversa a
livello nazionale: «denaro» è un
concetto finito e bisogna fare delle
scelte. I soldi, ho capito più
tardi, sono solo un modo efficiente
per dare conto della produzione di
ciascuno, del suo lavoro e della
capacità che questo lavoro ha di
provvedere utilità per gli altri.
Più il denaro circola, più tutti ne
traggono beneficio. E lo Stato può
fare poco o nulla se non sprecare
quanto è stato prodotto. Potrebbe
tassarlo o confiscarlo ma non
potrebbe distribuirlo con un grado
di giustizia maggiore di quanto può
fare il mercato libero; potrebbe e
dovrebbe allora provvedere solo a
quei servizi che il mercato libero
non è in grado di garantire: le
strade, le fogne, i tribunali,
l’illuminazione pubblica, il sistema
legislativo e la difesa comune. Il
pensiero che possa fare di più è
un'indimostrabile illusione. Certo
lo Stato può dichiarare di poter
fare di più, visto che burocrati e
legislatori giocano sul bisogno
umano di guida e di certezze, e
naturalmente, sul nostro desiderio
di giustizia. Ma la probabilità è
che chi opera all'interno della
struttura statale, di destra o di
sinistra, tenti di sfruttare la sua
posizione come faremmo io o voi: e
come per Brecht è probabile che lo
faccia sia per approfittare
dell'umana credulità sia per
alleviare i bisogni dell'uomo. La
politica, allora mi sembrava, come
il business, una divertente
collezione di presunzioni, errori e
conflitti - una pozza d'acqua
lasciata dal mare, ideale oggetto
di studio per i naturalisti.
Ho
scritto una commedia politica. Per
il giorno del Ringraziamento è
venuta a casa nostra un'amica. Era
arrivata in aereo da Washington
passando per Los Angeles, e la
cabina di prima classe del suo aereo
era occupata da due tacchini
«graziati» dal presidente Bush, e
venduti o dati in prestito alla
Disney per la parata del
Ringraziamento di Disneyland. Questo
incrocio di due trovate da cattivo
pubblicitario mi ha
irresistibilmente indotto a
inventare.
Dato che tutti
sono venali per natura e che i
politici lo sono, doppiamente, anche
per professione, non era evidente
che un presidente non avrebbe
graziato i tacchini se non per
qualche calcolo? La mia
immaginazione vedeva un presidente a
poche settimane dal giorno del voto
e senza possibilità di essere
rieletto. Il suo partito aveva
smesso di occuparsi della sua corsa
senza speranza. Gli si chiedeva di
graziare un paio di tacchini in
cambio di un piccolo contributo
elettorale. Ma lui ha un'ispirazione
e dice a tutti i produttori di
tacchini che vuole 200 milioni di
dollari o concederà il perdono
presidenziale a ogni tacchino
d'America. Fin qui tutto bene, ed
ora arriva il bello - per convincere
gli americani a sostenere il suo
divieto di uccidere i tacchini,
assume il genio tra i più famosi
speech writer. Lei, una lesbica, è
appena tornata dalla Cina, dove
insieme con la sua partner è andata
per acquistare un bambino. La donna
dice che scriverà il discorso solo
se il presidente in cambio la
sposerà con la sua compagna in
diretta su un canale nazionale.
La trama è
abbastanza divertente. E il soggetto
è che non solo siamo tutti umani,
ma, meglio, che siamo tutti
americani.
Ecco Clarice
Bernstein (la speech writer) mentre
legge una bozza del discorso a
Charles Smith, il presidente.
Il collega o
la collega alla macchinetta del
caffè? Non conosciamo come la
pensano politicamente. Giudichiamo
il loro carattere da semplici cose:
se sono educati, puntuali, se sanno
ascoltare e riescono ad andare
d'accordo, badiamo al fatto se
tengono ben verniciata la loro
staccionata. Non sappiamo per chi
votano. Non sappiamo che cosa fanno
a letto. Chi sarebbe così
irrispettoso da fare domande? Se
guardate ai sondaggi sembra che
siamo una nazione divisa, ma non è
così. Signore, siamo una democrazia.
Abbiamo differenti opinioni.
Eppure: ridiamo allo stesse
barzellette, ci battiamo una mano
sulla spalla quando abbiamo
raggiunto gli obiettivi aziendali
del mese; e Signore, non sono così
sicura che non ci amiamo gli uni con
gli altri.
Alla fine
destra e sinistra, etero e gay, si
riconciliano, e ogni cosa va a posto
grazie al deus ex machina, Chief
Dwight Gracile, di un movimento
fondamentalista di destra, arrivato
per assassinare il presidente, e
l’ultima battuta è «Dio, io amo
questo Paese». Anch'io lo amo. E il
mio amore più ci penso, più
aumenta. E considero quest'opera
come una lettera d'amore
all'America.
Un giornale
locale di New York stroncò la
commedia. Il loro critico teatrale
era offeso, la trovava politicamente
scorretta, giudizio nel quale si è
dimostrato sorprendentemente acuto.
Visto che la
vicenda si complicava il Village
Voice mi chiese di scrivere un
articolo sulle idee politiche che
stavano alla base della piéce. Ho
scritto un saggio intitolato
«Educazione politica», che
spiegavate mie idee. In ogni caso
sapevo che il Village Voice (a) è
sempre stato la voce della sinistra;
e (b) nel corso degli anni ha sempre
accettato molto a malincuore i miei
lavori. Così ho usato un trucco per
metterli in trappola. Ho iniziato il
mio saggio con un aneddoto sullo
stesso Village Voice. Quello di
Norman Mailer quando recensì la
prima rappresentazione di
«Aspettando Godot» sul Village Voice
e la definì «spazzatura». Poi andò a
casa e ci pensò su. Tornò a rivedere
un' altra volta lo spettacolo. E a
quel punto lo riconobbe come
l'opera di un genio e comprò una
pagina sullo stesso «Village Voice»
per ritirare la sua recensione,
profondendosi in mille modi. Ho
iniziato il mio articolo con questo
aneddoto e ..aha... The Voice ha
abboccato all’amo e pubblicato
l'articolo. Mettendogli però un
altro titolo: «Perché non sono più
un trinariciuto liberal». Il
giornale di New York, furibondo, ha
recensito un'altra volta la mia
opera teatrale, esprimendo un
giudizio ancora peggiore della
prima. Da allora sono stato adottato
dalla destra. Poi mi hanno chiesto
di scrivere un libro di politica. E,
usando le parole di Gertrude Stein,
io l'ho scritto. Ed è questo.
IL REALITY
AMERICANO
Qualcuno,
non mi ricordo più chi, ha scritto:
«come tutti gli scrittori prolifici,
era molto pigro». La frase è
perfetta per me. Scrivo e produco
molto e mi capita di guardare
l'elenco, lungo e variegato, delle
cose che ho fatto come un ostinato
scialacquatore controlla la lista
completa dei suoi debiti. La cosa mi
riempie di vergogna. Perché? Forse
perché nulla di quello che ho fatto
mi è sembrato un lavoro. Al massimo
una possibilità di evasione. Chi
sarebbe così sciocco da dover
placare i suoi peggiori pensieri
lavorando così tanto? In ogni caso
mi è stato concesso un dono:
trascorrere i miei giorni rendendo
piacevole ciò che piacevole non è.
Chi mi ha fatto questo regalo? La
società in cui vivo, che ha trovato
i miei lavori abbastanza divertenti
da pagarmi per star seduto tutto il
giorno e continuare a fare quello
che ho fatto finora. Aver tempo
libero per riflettere, quasi alla
fine di una lunga carriera, mi porta
a ringraziare Dio perché mi consente
di vivere in una società
relativamente libera da ogni
controllo dello Stato. Una società
in cui i cittadini possono esprimere
la loro «vera» diversità, e cioè
quella di pensiero. Certo, i miei
lavori non piacciono a tutti. Ma io,
quando scopro quello che non piace,
sono libero di inseguire i gusti del
mercato, di continuare come prima, o
di smettere del tutto. In breve:
sono libero di sbagliare, che è come
dire che sono libero di avere
successo, e, nel caso, di godere di
ogni singola cosa che il successo
può regalarmi. Questo non è
semplicemente il sogno americano, è
la realtà americana. E il fatto di
averlo capito mi ha indotto a
scrivere questo libro.
Ho avuto modo
di parlare con qualche conservatore
solo a 60 anni di età. Il mio
rabbino, Mordecai Finley, moderato,
e membro fondatore del tempio Endre
Balogh, si è preso la briga di darmi
retta. E sono rimasto impressionato
non dalle sue idee politiche, che al
tempo per me non volevano dire
molto, ma dalla sua gentilezza e
pazienza. Mi ha dato un libro, White
Guild di Shelby Steele, e mi ha
fatto riflettere sulla risposta a
una difficile domanda: «Che cosa
vuoi, la verità, o una bugia...?».
Avendo trascorso la mia vita in
teatro so che dalla gente si può
plasmare un pubblico, cioè un gruppo
di persone che rinunciano per un
paio d'ore a parte della loro
razionalità per godere di
un'illusione. Poi, quando ho
iniziato a leggere e scrivere di
politica, ho capito con orrore
quanto sia facile trasformare la
gente in una massa informe e
irrazionale. Ho capito che a creare
questa massa possono essere quelli
che più approfittano dalla rinuncia
a ragione e libertà. E ho capito
infine che questi ultimi sono i
politici. Allora la mia domanda è
diventata: dato che non possiamo
vivere senza governo, come dobbiamo
trattare quelli che sono orientati
ad abusarne -i politici e i loro
manutengoli? Il tentativo di
risposta a questa domanda è nella
Costituzione americana - un
documento basato non sull'assunto
filosofico che la gente è di fondo
buona, ma sulla tragica confessione
che è vero il contrario.
Ho
esaminato in profondità il mio
essere liberai e l'ho trovato
simile alla dipendenza dal gioco
d'azzardo: nonostante le possibilità
di vincere siano scarse e la
certezza di perdere evidente a
chiunque conosca un po' di
aritmetica, il giocatore, sbagliando
una volta dopo l’altra, è convinto
di possedere una qualche sorta di
grazia che gli consenta di
contravvenire alle leggi naturali.
E quando inevitabilmente arriva a
essere disperato non mette sotto
accusa la natura della roulette, o
della sua delusione, ma si impegna a
sviluppare un nuovo sistema di
gioco, e a procurarsi nuovi fondi.
Ho anche scoperto la grande perfidia
del pensiero Liberal: quelli che si
occupano di escogitare continuamente
nuove Utopie di Stato, siano essi
imbroglioni o sciocchi, lo fanno per
mandare in rovina e ostacolare non
se stessi, ma gli altri. (Qualche
temo fa il presidente Obama ha
detto: «Ad un certo punto bisogna
essere in grado di dire: ho
abbastanza soldi». Ma, una volta
terminato il suo incarico, il signor
Obama lo dirà di se stesso e della
grande ricchezza di cui potrà
godere? È lecito dubitarne.) Mi
sono reso conto che vivevo in uno
stato di ignoranza, accettando
passivamente un'illusione mai
verificata e chiamandola
«compassione», ma che c'era chi era
abbastanza coraggioso da non badare
alle parole d'ordine dominanti ed a
cercare razionalmente una coerente e
praticabile comprensione delle
relazioni umane. Per costoro la
politica non è manipolare ignoranti
e indecisi, ma dedicarsi alla difesa
e all'affermazione di nobili
principi fondamentali, per esempio
quelli della Costituzione degli
Stati Uniti. Mi sono reso conto che
dichiarare di credere nella libertà
politica e sociale degli individui,
e di considerare un male la resa dei
poteri dei cittadini allo Stato era
difficile tra la gente in generale,
letteralmente impossibile
nell'ambiente Liberal. Eppure uomini
e donne di coraggio hanno dedicato a
questo le loro vite ed energie,
senza farsi scoraggiare dal
disprezzo e dalla mancanza di
speranza. Mi sono anche reso conto
che Destra e Sinistra non sono
diversi per i loro programmi ma per
i loro obiettivi: l’obiettivo della
sinistra è un Paese gestito dallo
Stato, e quello della destra la
libertà dell'individuo dallo stesso
Stato. I due obiettivi sono
difficili da conciliare, dato che è
impossibile indurre la sinistra a
dichiarare realmente le sue
intenzioni, o a valutare onestamente
i risultati delle sue azioni.
L a
cultura inizia a evolversi prima
della coscienza e precede dunque la
società.
Considerate,
scrive Friedrich Hayek, una legge
non scritta ed universalmente
accettata, che anticipa la codifica
verbale: in uno scontro
potenzialmente violento, chi è più
vicino alla abitazione del suo
nemico si ritirerà.
La cultura di un Paese, una
famiglia, una religione, una regione
è un compendio di tutte le leggi non
scritte elaborate nel tempo
attraverso gli inconsci adattamenti
dei suoi membri - attraverso la
pratica e l'errore. In generale è
«la maniera in cui facciamo le cose
qui». È nata dalla necessità umana
di «farcela». Non nasce
dall'ispirazione, dalla guida di un
gruppo o di un individuo, ma evolve
naturalmente: quello che funziona
resta, quello che non funziona viene
scartato. Questa evoluzione è stata
indicata con il termine di
«darwinismo sociale» ma la
definizione, come insegna Hayek, è
sbagliata. Darwin ha osservato che
gli individui di una specie più
adatti all'ambiente prosperavano e
si riproducevano, rafforzando così
la loro capacità di adattamento. Gli
altri si estinguevano. Ma
l'evoluzione di una cultura non
avviene attraverso questo
meccanismo, bensì attraverso
l'imitazione. La cultura che ha
dimostrato una positiva capacità di
adattarsi è imitata dalle culture
che ne percepiscono il valore; tutti
possono adottare il comportamento
benefico e prosperare. Il più grande
riconoscimento per la generazione di
immigrati dei miei genitori era:
«Viene dal mio Paese». La qual cosa
equivale adire: «Viene dal mio
villaggio e dalla mia cultura e
posso così prevedere come agirà».
Questo non voleva dire che il loro
connazionale era perfetto, o che la
previsione era infallibile, ma che,
condividendo una cultura, si poteva
risparmiare una larga parte di
quell'energia che altrimenti sarebbe
stata spesa in autodifesa, e
utilizzarla in maniera più
produttiva.
Il grave errore del
multiculturalismo è presumere che la
ragione possa modificare un processo
che si è svolto senza la
partecipazione della ragione stessa,
e con indicazioni e stimoli di gran
lunga maggiori di quelli che la
ragione è in grado di fornire.
Thomas Sowell, nel libro Ethnic
America, fa notare che i costumi
dei gruppi etnici presenti sul suolo
americano precedono la loro
immigrazione (o il loro trapianto)
negli Usa. E spesso derivano dalle
necessìtà che quegli stessi gruppi
etnici avevano dovuto affrontare nel
loro Paese d'origine. Per esempio:
gli ebrei sono storicamente un
popolo senza uno Stato e per questo
hanno dovuto investire tempo e
denaro in quello che poteva essere
trasportato senza pericoli di
confisca: l'educazione.
L'adattamento culturale è la base di
quel agglomerato più conscio e
sofisticato chiamato società, che
potrebbe essere definito come
l'accessorio derivato dalla cultura.
Così come scrive Sowell, la cultura
comune è un qualcosa che si
possiede realmente, accessibile
a ciascuno grazie agli sforzi di
tutti, non solo oggi, ma nella
storia.
Abbiamo tutti avuto l'esperienza
della prima notte in una nuova casa
e della scoperta dell'enorme
quantità di bit informativi di
solito in nostro possesso di cui non
siamo consapevoli: la posizione e il
funzionamento dell'interruttore
della luce, il percorso verso il
letto, il significato di un
scricchiolio sul pavimento (è la
casa che si sta assestando o è il
passo di un intruso?). Queste
innumerevoli abitudini acquisite nel
tempo e senza una conoscenza
consapevole dell'individuo, sia per
quanto riguarda il loro contenuto
sia per quanto riguarda la loro
presenza, nella nuova casa vengono
portate alla superficie e richiedono
energia, attenzione e risposte. Il
cursore culturale è stato rimesso a
zero, la mente e lo spirito
protestano. «Non riesco a seguire
tutto in una volta». Così le prime
notti in una nuova casa trascorrono
insonni, con il desiderio di un po'
di pace.
Prendiamo un'altra idea e un
altro libro di Hayek: Fatal
conceit: the errors of socialism
(La presunzione fatale: gli errori
del socialismo). Tra le presunzioni
citate c'è un'idea sbagliata: che la
mente umana possa essere capace di
imitare il processo elaborato nei
millenni da un meccanismo
infinitamente più adatto allo scopo
della stessa mente (il processo è
l'interazione degli esseri umani,
ognuno dei quali vuole qualche cosa
dall'altro, e ognuno dei quali deve
vivere insieme all'altro, il che
vuoi dire adattarsi e trovare delle
soluzioni).
L' attuale
sviluppo sociale (opposto a quello
culturale) deve sopportare il peso
della presenza dei «Nobili ideali».
Questi vengono definiti tali non
perché la loro realizzazione abbia
contribuito a migliorare la nostra
vita ma in omaggio alla supposta
buona volontà o allo status
intellettuale dei loro sostenitori.
Alla mente del lettore, a seconda
del suo orientamento politico e
morale, potranno venire vari tipi di
esempi. Quanto agli obiettivi di
questo testo si può dire che essi
includono il femminismo, il
controllo delle nascite, la
diversità, l'amore libero, e la
profusione di innovazioni
controculturali nate negli anni '60.
La gioiosa improvvisazione di una
nuova visione sociale conduce a
effetti non diversi da quelli della
prima notte in una casa nuova. Ed
esige costi pesanti, facendo
emergere a livello della mente
cosciente (impreparata e inadeguata)
decisioni elaborate nel tempo. Uno
di questi costi è la confusione:
femministe arrabbiate, maschi soli
di mezza età, tribunali
specializzati in divorzi, famiglie
spezzate, bambini disperati e una
crescente sfiducia non solo nella
possibilità di armonia familiare ma
nell'efficaciadelliberomercato.L'evoluzionemil-lenaria
della famiglia come strumento di
gestione dell'ambiente umano è stato
scartata dalla mia fantasiosa
generazione, in favore di un
concetto non solo artificiale ma
incompiuto: la libertà, il cui
perseguimento ha condotto
all'odierna infelicità. Prendete i
film e le storie d'amore della tv.
Quasi sempre mostrano un uomo e una
donna che si disprezzano, ma che
alla fine della storia arrivano a
concludere che in qualche modo
«appartengono» l'uno all'altro e che
«ce la faranno». Purtroppo è il
contrario della tradizionale storia
di un uomo e di una donna che si
amano e che sono separati dalle
circostanze e che alla fine vengono
uniti dalla loro abilità di
superarle (il che equivale a dire
che sono premiati dalla felicità
grazie a un esercizio di volontà).
Il «Nobile ideale» (il concetto
irrealizzabile) è destinato al
fallimento perché è il prodotto di
una coscienza incapace di
riconoscere, non parliamo poi di
valutare, ogni possibile variabile.
L'individuo illuminato, socialmente
consapevole, comunque fiducioso nel
primato della mente, di fronte alla
sconfitta torna all'ambiente che un
tempo lo ha sostenuto e ora l'ha
tradito - il suo inconscio - e si
vendica abbandonandosi alla rabbia.
Così ci si può chiedere non perché
negli Stati Uniti ci siano delle
stragi, ma perché avvengano nelle
scuole. Gli adolescenti inquieti
nati in famiglie difficili, trovano
di solito sollievo nelle istituzioni
che agiscono in supplenza dei loro
genitori. Il ragazzo o l'adolescente
a cui a casa vengono negati ordine e
prevedibilità, può vedersele offrire
nelle regole scolastiche: impara la
lezione, vestiti, agisci in maniera
appropriata, siedi, stai zitto.
Anche se il ragazzo si lamenta,
queste regole sono per lui una fonte
di conforto. Perché sono prevedibili
e impersonali. In quanto tali esse
sono uno strumento perfetto per
inculcare il rispetto per la legge,
la tradizione e la proprietà, senza
il quale il giovane non potrà avere
successo nel più ampio e meno
prevedibile mondo esterno alla
scuola. Ma se la scuola, le sue
materie, le sue regole ed
aspettative sono imprevedibili, il
raggiungimento dell'autonomia
diventa per il giovane
inimmaginabile e il mondo esterno,
che il giovane sa di non essere in
grado di gestire, non è più una
realtà da affrontare dopo aver
acquisito determinate abilità, ma
una immediata e spaventosa
emergenza. La scuola che insegna a
padroneggiare competenze concrete,
rafforza la fiducia del giovane
nella sua capacità di saper gestirne
altre; la scuola che si dedica
all'opinabile (studi sociali,
multiculturalismo, e altri temi del
genere) lo indebolisce - perché,
anche se sembra sostenere un suo
qualche incompiuto senso di
«giustizia sociale», offre
all'adolescente affamato di
certezze, un curriculum di insipido
nutrimento intellettuale, e lo
ricompensa per il fatto di ripetere
a pappagallo la posizione imparata
in classe.
Il college, un tempo praticabile
corso di studi, disegnato permettere
in grado l'individuo di mantenersi,
è diventato almeno per quanto
riguarda le Arti Liberali,
un'estensione di un cattivo liceo,
vale a dire, del terrore
dell'adolescenza. L'esaltazione
della «scelta» nel piano di studi,
nel comportamento (con la
glorificazione degli «stili di vita
alternativi») a livello consapevole
è un'idea affascinante per la mente
orientata al piacere del
diciottenne, ma in realtà è per lui
profondamente destabilizzante.
Perché il diciottenne sa che a un
certo punto dovrà lasciare
l'università, e cavarsela in un
mondo per cui la gratificante parola
d'ordine «scelta», non lo sta
preparando. Gli studi di genere, il
multiculturalismo, la semiotica, la
decostruzione, la video art, e altre
scempiaggini del genere, risultano
gradevoli al ragazzo, visto che
sembrano rafforzare il suo sentirsi
adulto, sono in verità terrificanti,
perché, di fronte alla perdita di
autorità della scuola, questa finirà
per espellere lo studente, confuso e
impreparato, immergendolo in un
mondo che, lui lo sa, non è per
nulla interessato alla sua capacità
di occuparsi di fesserie, e al
contrario vuoi sapere da lui in che
cosa può contribuire allo sforzo
comune.
Così studiare in un college di
Arti liberali, Scienze sociali o
qualunque modo vengano chiamate
oggi, è di fatto una perdita di
tempo e denaro, una assoluta
inutilità, salvo che per quella
ostentazione di ricchezza e tempo
libero che Veblen chiamava «consumo
vistoso».
Un'educazioni ispirata alle Arti
liberali è fondamentalmente un
simbolo di status, che in quanto
tale potrebbe teoricamente
facilitare l'ingresso in una classe
più alta, se l'ingresso dipendesse
solo da questo. Eppure guardate i
dottori in Arti Liberali riempire i
sacchetti dei clienti alle casse dei
supermercati. Negli Stati Uniti
l'educazione a livello universitario
sta vendendo un'illusione: che il
figlio di genitori benestanti non
debba far parte della forza lavoro
del Paese - che avere delle
competenze fungibili non sia
necessario.
Il
laureato in Arti liberali ha vissuto
troppo al Luna Park. Come la donna
in carriera che, nubile a 45 anni,
scoprirà che le sue prospettive di
matrimonio non sono più quelle di
quando ne aveva 20 anni; e come il
viveur di mezza età
che
capisce che le possibilità di amore
e sicurezza familiare sono in
contrasto con abitudini formate in
decenni di appuntamenti femminili e
di libertà.
Il modo di ragionare dei
conservatori a questo punto prevede
una domanda: «Ma qual è il risultato
voluto di ogni decisione proposta,
quale è la probabilità di successo e
quali sono i costi? (e questi ultimi
comprendono anche quelli di un
possibile fallimento)». Ma per i
pasticcioni che vogliono cambiare la
società, questi costi non si possono
conoscere e la loro somma è espressa
in modo eufemistico come la «legge
delle conseguenze non volute».
Le stragi nelle scuole e
l'aumento delle iscrizioni per i
corsi di specializzazione post
laurea in Arti Liberali appaiono
come due inconsci tentativi di
adattamento a una cultura che si sta
allontanando dall'esigenza di
formare forza lavoro. Per quanto
molto si sia detto sulla necessità
del college, lo studio delle
cosiddette Arti liberali in realtà
non prepara a nulla. E
l'adolescente, spaventato,
abbandonato e al tempo stesso
viziato dalla società, può, se perde
la testa, impazzire e (a) uccidere,
o, se è semplicemente spaesato, (b)
chiudersi in un college, dato che
non possiede la forza per crescere e
andarsene.
E
questo mi porta all'esempio
dell'ascensore. Un gruppo di persone
completamente estranee le une alle
altre entra in un ascensore. Tutti
si posizionano secondo modelli,
consci e inconsci, di rispetto
reciproco. A contribuire alla
sistemazione sono inconsapevoli
valuta-zioni relative ad altezza,
sesso, età, ricchezza, status
sociale ed educazione (così come
vengono suggeriti
dall'abbigliamento, dagli accessorie
dall'atteggiamento), desiderabilità
sessuale, e minaccia percepita. Non
solo legati all'individuo ma
all'individuo in quel determinato
gruppo. Perché un soggetto sarà
rispettato o meno non solo in base
alle caratteristiche citate in
quanto tali ma anche in
considerazione di altri elementi: il
mix di persone nell'ascensore, l'ora
e la probabilità di fermate ai
piani, secondo un modello che cambia
a ogni arrivo e partenza e in base
alle quali l'intero gruppo si
redistribuirà. Questo processo
preverbale e preintellettuale di
adattamento è la base di ogni
cultura. Ed evolve attraverso il
raggiungimento di piccoli obiettivi
condivisi ma inconsapevoli.
La civiltà è preceduta dalla
cultura, elaborata nei secoli
attraverso innumerevoli interazioni.
La cultura può essere travolta dalla
rivoluzione (che a quel punto
diventa prevedibilmente Terrore), ma
potrà evolversi solo alla sua
velocità e in una direzione
indicata solo dalle innumerevoli
interazioni umane. E non in risposta
a una volontà, comune o individuale,
ma attraverso il meccanismo
dell'interazione inconscia e verso
una fine inconoscibile.
Nell'epilogo di Guerra e Pace
Tolstoj scrive che il selvaggio, nel
vedere la ferrovia, pensa che il
treno sia l'effetto degli sbuffi di
fumo, perché sono quelli che vede
per primo. Ma non è il fumo la causa
della locomotiva e cinque milioni di
francesi non possono aver invaso la
Russia perché Napoleone ha detto di
farlo. Ovviamente, dunque, ci deve
essere qualche altra forza più
profonda al lavoro, una forza che
non possiamo nemmeno capire. Il
reale funzionamento di una cultura è
profondamente misterioso.
C hi,
come me, lavora nel mondo dello
spettacolo, trascorre la sua vita a
cercare di capire, prevedere e
rovesciare il comportamento del
pubblico. Ma lo sforzo è
impossibile. Non solo il pubblico
sceglie senza tener conto di
lusinghe o di inganni, ma comunica
le sue preferenze subito e senza
l'apparente intervento della
riflessione o di forme discorsive
tradizionali, perché reagisce in
maniera preconscia; riderà,
piangerà, si addormenterà, sospirerà
o se ne andrà senza far riferimento
alla ragione, come una entità
collettiva che prende le sue
decisioni in modo imprevedibile,
secondo obbiettivi inesprimibili.
Le scelte del pubblico,
dell'esercito di Napoleone, dei tizi
in un ascensore, sono la rivelazione
di un mistero. Se ne può avere
un'idea vaga,ma non si può capire. E
armeggiarci intorno vuoi dire
correre dei bei rischi.
ALCATRAZ
E ro
al Fairmont Hotel di San Francisco e
guardavo Alcatraz da una finestra
panoramica Ho chiesto a mio figlio
di dieci anni: «Sai che cos'è?».
«Sì», mi ha risposto, «È
un'attrazione turistica, ma era un
carcere federale».
Il
mondo cambia. Non è interessante
come imparano i bambini? Io lo
sapevo dai film della Warner Bros,
lui dove l'aveva sentito?Nel mio
settore, lo spettacolo, si impara
facendo e osservando. L'ultimo dei
cameraman trascorre ore guardando la
scena mentre si prepara una ripresa
e le luci si accendono. Alla fine
migliora e fa carriera fino al
giorno in cui diventa direttore
della fotografia. Non si può
simulare l'esperienza di un fiasco
di fronte al pubblico. Un fallimento
non ha niente a che fare con il
brutto voto di un insegnante che,
dopotutto, è pagato per essere
gentile o almeno per non perdere le
staffe. Attori e sceneggiatori
rimangono a scuola per risparmiarsi
quel tipo di lezione. E rimangono a
scuola perché non sanno fare di
meglio. Il college dovrebbe
teoricamente trasmettere delle
competenze, ma di fatto serve anche
ritardare l'iscrizione
dell'adolescente alla vita adulta.
Così, però gli si toglie la
possibilità di subire e osservare
l'interazione umana allo stato
originale. Non può sorprendere
allora che lo studente sviluppi un
senso di immunità che, dopo la
laurea, lo può portare a un ciclo di
rifiuti e fallimenti o al tentativo
di ritirarsi in un ambiente tutelato
e in una atmosfera di protezione
molto simile a quella di un grande
college. Quest'ultima possibilità se
è benedetto dalla paralizzante
maledizione di non doversi
mantenere.
(Perché i dottori in letteratura,
cinema, studi di genere, e così via,
finiscono nei negozi a mettere nei
sacchetti la spesa dei clienti?
Perché sono troppo vecchi per
imparare un mestiere. La porta si è
chiusa e la carriera universitaria
ha mostrato di essere adatta solo a
quello che in partenza si voleva
evitare: un lavoro umile).
D ato
che viviamo grazie al cervello e che
il nostro cervello funziona con
l'osservazione l'assenza di una
esperienza reale del mondo conduce
lo studente a conclusioni che fuori
dalle aule delle università non
servono a nulla o fanno solo danni.
Se lo studente è ricompensato perché
compiace l'insegnante imitando un
comportamento che gli è stato
indicato, è portato, come gli altri
animali, ad applicare questo
insegnamento nel mondo esterno.
«Thomas Jefferson, terzo presidente,
adultero, e schiavista». In
laboratorio ottieni un un boccone.
Fuori dal laboratorio - nessun
boccone. Ovvia soluzione: mai
lasciare il laboratorio. Ma è la
sinistra che può provvedere al
boccone per gli ex studenti. Non si
tratta di una laurea ma di garantire
la protezione del branco. Lo
studente universitario non deve
semplicemente abbassare una leva ma
deve ripetere delle idee. E
naturalmente arriverà ad apprezzare
le idee la cui ripetizione lo
premia. Penserà che queste idee
stesse sono giuste. E come potrebbe
essere altrimenti? Gli hanno
procurato cibo e quindi sono giuste.
Indiscutibili. Ma come una cavia da
laboratorio lasciata in libertà, che
cerca qualche cosa a forma di leva,
lo studente/intellettuale, una volta
liberato, sarà portato a cercare
opportunità per esercitarsi nel
comportamento appreso e meritare un
premio. Che può essere di status o
livello sociale. E di solito è la
sicurezza di rimanere nel gruppo.
Le idee possono consolidarsi in
una filosofia, vale a dire in una
visione coerente del mondo, o
possono consolidarsi in un elaborato
sistema di simboli di
riconoscimento, in una serie di
gradi come quelli massonici. Che
Guevara era un assassino di massa; e
abbiamo il suo ritratto nella stanza
dei nostri figli. Non quello di
Charles Manson. Perché? Perché il
Che cercava il potere per il popolo.
Come facciamo a saperlo? Ce lo hanno
detto. Ma, attenti, come politico
non era diverso da Thomas Jefferson,
e cioè era un uomo. Scusate: ma è
diverso essere assassino di massa
piuttosto che un adultero? «Ah, ma
ho visto il suo ritratto nella
stanza da letto di mio figlio».
«Ingannerei così mio figlio?».
Perché no. A voi lo hanno fatto. E
anche a me.
Essere generosi è una cosa buona.
Nessun dubbio. Ma, in ogni caso, che
cosa vuoi dire essere generosi? La
gentilezza per il malvagio è
crudeltà verso il giusto. Da bambino
ho letto la storia di quel monaco
tibetano che lasciò la sua casa,
camminò per migliaia di chilometri e
poi scoprì, nascosta nella sua
veste, una formica di un tipo che
esisteva solo nel suo ormai lontano
villaggio. Così tornò indietro per
migliaia di chilometri per rimettere
al suo posto la formica ed evitare
di farle violenza. Ma quante ne
calpestò durante la strada?
«Siate generosi quanto potete». È
essere generosi dare qualche dollaro
a un mendicante che probabilmente
andrà a spenderseli per bere? È
essere generosi approvare una legge
sul settore immobiliare che sarà
utile a qualcuno ma che danneggerà
la maggioranza e porterà il nostro
Paese al fallimento?
Il capitalismo è cattivo? Non il
capitalismo che ha creato e
mantenuto Stanford, Harvard o la
Penn University, non quello che
produce i nostri vestiti, le nostre
auto o le nostre chitarre e ci
procura il cibo e così via, e non
quello che ci dà da lavorare e che
ci fa guadagnare, o ha mantenuto i
nostri genitori che a loro volta ci
hanno mantenuto; e non gli affari
che, noi nostri sogni, vorremmo fare
(«Santocielo, ho un'idea da un
miliardo di dollari»). Ma abbiamo
avuto il nostro boccone per aver
ripetuto che il capitalismo è
cattivo, Thomas Jefferson era un
adultero, e il cerchio si chiude
perché abbiamo avuto la nostra
ricompensa. Così, mi raccomando,
votiamo per alzare le tasse alle
imprese, anche se, guardandoci
attorno, vediamo che la California,
con le più alte tasse d'America, è
in rovina perché, a forza di tasse
ha fatto scappare le imprese. E
ancora: votiamo per un'economia in
cui tutto è gestito dall' alto,
perché certo il governo che
distrugge ogni cosa che tocca, può
gestire il settore dell'auto molto
meglio dei manager.
Eppure Thomas Jefferson aveva
degli schiavi. E questo è un Paese
razzista. Domanda: Sei un razzista?
Risposta: No. Domanda: Qual è stata
l'ultima volta che hai sentito un
commento razzista o hai visto un
caso di discriminazione razziale a
scuola o al lavoro? Ah sì,ma io ho
avuto il mio boccone di cibo. Era
buono ma mi è costato qualche cosa.
E questo qualche cosa è una
limitazione nella capacità di capire
il mondo. Gli afroamericani pensano
che questo sia un Paese razzista?
Sono sicuro che essi notano ogni
giorno più o meno sottili
prevenzioni e pregiudizi. Un ebreo
si accorge dell'antisemitismo, un
non ebreo no. Così approviamo leggi
sull' odio razziale, come se essere
picchiati a morte diventi più
gradevole se in più non si è
insultati. Assicuriamoci che il
governo, per eliminare totalmente
«le incitazioni all'odio razziale»,
possa ergersi a giudice di ogni
opinione - lo stesso Governo che ci
spaventa anche se ci manda una
semplice lettera. Certo, diamogli
più potere, perché ho abbassato la
leva e ho avuto un boccone di cibo.
È un Paese di razzisti l'America, e
di sfruttatori. Il capitalismo è
cattivo. Israele è corrotto. Se
identifichiamo in ogni interazione
la presenza di una vittima (trova la
vittima avrai un boccone) ci
prepariamo a rinunciare all'abilità
di identificare i problemi veri.
Ma forse c'è un'altra visone del
mondo in cui ogni interazione umana
non viene ridotta a un rapporto tra
vittima e oppressore. Quale potrebbe
essere? E quali capacità ci vogliono
per vedere il mondo come un mercato
delle pulci piuttosto che come un
mercato di schiavi? La politica
dell'identità riduce il mondo ai
ruoli di vittima e oppressore. Ma
c'è un altro modo per guardare al
mondo? Per esempio, vogliamo
valutare torti e ragioni nel
conflitto mediorientale sulla base
del colore più o meno scuro della
carnagione delle parti coinvolte?
Non è il governo federale che
disprezziamo lo stesso di cui
vogliamo aumentare le competenze? Le
tasse che vogliamo alzare non sono
le stesse che ognuno di noi cerca di
evitare, il capitalismo che ci
insegnano a disprezzare non è lo
stesso che ci consente di
arricchirci?
Il nostro scopo nella vita non è
quello di indovinare quale leva
abbassare, ma di imparare a
determinare, come fossimo in una
terra selvaggia, come mantenerci. È
un ritorno alla legge della giungla?
Per nulla. È un ritorno alla
comunità, perché nel libero mercato
il successo arriva solo dalla
abilità di soddisfare i bisogni
altrui. Ci accorgiamo di quando
l'elettricità viene a mancare, di
quando arrivano la pioggia o la neve
e ci rivolgiamo ai nostri vicini per
quello di cui abbiamo bisogno,
riconoscendo che dovremo restituire
il favore, e siamo felici così. Ci
saranno degli abusi? Naturale. Ma il
nostro sistema della libera impresa,
e il libero mercato delle idee porta
più ricchezza e felicità al più
grande numero di persone nella
storia. È l'invidia del mondo. E
questa invidia spesso prende la
forma di odio. Basta considerare
chi, qui da noi,odia democrazia e
capitalismo, la Sinistra Americana e
i suoi compagni stranieri, che
vengono a visitarci per spiegarci i
nostri difetti. Non sono qui perché
siamo il Grande Satana ma perché qui
sono liberi di parlare. E noterete
che quando scrivono, si tutelano con
il diritto d'autore e con i proventi
vanno a fare compere.
Traduzione di Angelo Allegri
(Continua)
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